All'alba - caccia

racconto di caccia
racconto di altri tempi 

ALL’ALBA

-    Ricordati, figliolo: per una buona polvere occorrono quattro parti di salnitro, una parte di zolfo, una parte di carbone.
Ogni volta che Teodoro si alzava, la mattina, per andare a caccia, queste parole risuonavano nella sua mente. Suo padre stava ormai cacciando nelle celesti boscaglie del Cielo da diversi anni, ma quelle parole, così come altri importanti consigli, suonavano nitide come i colpi di martello sull’incudine del fabbro del paese.
Certo, i tempi erano cambiati. L’antico dosaggio o, come dicevano gli anziani, dosamento della polvere da sparo lasciava parecchi residui nella canna, e non sempre garantiva la potenza necessaria per abbattere la più ambita preda di quelle parti: il Cervo.
Da qualche anno, infatti, si era diffuso un nuovo dosamento, chiamato da molti “dosamento inglese”: settantacinque per cento di salnitro, quindici per cento di carbone, dieci per cento di zolfo. Le canne restavano pulite e la preda cadeva giù.
Quella mattina Teodoro era pronto per l’ennesima sortita.
Teodoro aveva un sogno, un sogno ricorrente, che gli faceva provare uno strano miscuglio di sensazioni, o forse sarebbe meglio dire una strana, evanescente sensazione.
Nel sogno, Teodoro si vedeva in un bosco, un bosco non ben definito, il sottobosco nascosto dalla nebbia. La nebbia gli arrivava alla vita, e gli dava un senso di impotenza solamente in parte annullato dal freddo e rassicurante contatto con l’arma, che anche nel sogno era il suo fedele fucile Kentucky.
Il Kentucky di Teodoro era un’arma molto importante. Era stata regalata a suo nonno da un parente che aveva combattuto nella guerra d’indipendenza Americana, e il fucile aveva fatto il suo dovere contribuendo alla libertà di un popolo.
Nel sogno, Teodoro vagava nel bosco, che la nebbia rendeva quasi un luogo incantato. Improvvisamente dalla nebbia emergeva un cervo, un cervo maestoso. Teodoro puntava il fucile e... il sogno finiva. Teodoro si svegliava madido di sudore con uno strano sapore in bocca, amaro e allo stesso tempo dolce.
Quella mattina Teodoro si preparò per la caccia. Consumò una frugale colazione, un pezzo di formaggio con molto pane, caricò il fucile, si allacciò la borsa della polvere al collo, il paniere alla cintura e partì.
Il paese già riluceva delle lampade ad olio e delle candele che illuminavano le botteghe degli artigiani. Teodoro passò davanti al laboratorio del falegname, alle prese con le imposte delle finestre della signora Maria, e, alla fine del villaggio, davanti al sellaio intento a cucire il basto per il mulo del signor Domenico. In lontananza, dall’altra parte del paese, si udiva il nitido suono del martello sull’incudine del fabbro.
Teodoro si inoltrò nell’oscurità che ancora circondava la piccola valle al cui interno stava il villaggio, una splendida valle solcata da un piccolo fiume, e si infilò nel bosco che ricopriva una delle colline circostanti.
Sul far dell’alba, nel chiarore crescente, Teodoro si trovò quasi in cima alla collina. Il bosco si diradava, in quel punto, ma la visibilità era in parte ostacolata da una densa nebbia che gli arrivava alla vita. L’aspetto spettrale del bosco gli incuteva un certo timore, solo in parte contrastato dal rassicurante contatto con il Kentucky.
Un improvviso raggio di sole squarciò il bosco alla sua sinistra. Teodoro si voltò ad ammirare lo stupefacente spettacolo di luce ed ombra. Era come se il sole e gli alberi stessero giocando tra loro e con lui.
Un fruscio di foglie secche dietro di lui fu come una frustata sui suoi nervi. Teodoro si voltò e per un attimo non credette ai suoi occhi.
Un cervo, un cervo maestoso, il più straordinario esemplare che avesse mai visto in vita sua, si ergeva sulla nebbia, e lo fissava.
Teodoro si mosse impercettibilmente, lentamente alzò il cane del fucile, impugnò saldamente il Kentucky e lentamente lo puntò contro il cervo, che continuava a fissarlo.
Era fatta, bastava premere il grilletto e il cervo sarebbe stato suo. L’indice destro iniziò a contrarsi e...
No! Non avrebbe sparato, e lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. Non avrebbe mai potuto farlo. Un uomo può uccidere qualunque cosa, ma non potrà mai uccidere i suoi sogni.
Il cervo che Teodoro aveva di fronte era molto più che un semplice cervo. Se lo avesse ucciso, avrebbe distrutto una parte del suo stesso essere. Lo avrebbe lasciato andare, per farlo poi tornare nei suoi sogni, perché altrimenti lo avrebbe perso per sempre.
Il cervo fissò Teodoro, poi con un guizzo scomparve nella nebbia.
Teodoro rimase immobile per un lungo tempo, poi si incamminò verso il paese.
-    Va bene,  – disse – va bene.


Cesare Bartoccioni
9 aprile 1996

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