Capitolo ottavo
EX HALOS
Passandosi
la mano sull’impalpabile veste verde mare, ben stretta in vita da un’aurea
cintura a raffinata enfasi di seni e fianchi, il sorriso soddisfatto, passeggia Afrodite
allegra e lucente rimirando il lavoro di tessitura appena concluso da Atena.
“Le Pleiadi
viste da qui sono bellissime.”
“Grazie,
cara.” Atena sorride compiaciuta. “Finalmente ho avuto un po’ di pace, senza
quei trogloditi tra i piedi…”
La bellissima,
abbassando il mento e aprendo la fulgida bocca stirando le soavi guance, dà
libero sfogo a una liberatoria risata, in palese segno d’approvazione per il
nuovo epiteto assegnato dalla pacata Pallade ai molesti fratellastri.
Le due
s’affacciano quindi al balcone d’Olimpo. Il verde e caldo Egeo si staglia
accogliente nella ramata luce dell’alba.
Fila la lunga gran pentecontera, solca da
giorni da man fin’a sera, col kybernetes ch’al sol mattutino, muove la barra all’altezza
di Milo, volge la prora per l’Attica dritta, che vuole Maris sanar da sconfitta.
“A testa alta me n’ero io andato.” Maris
rimugina or risollevato. “A testa alta or ora ritorno, come predetto già avevo
quel giorno.”
S’erge poi fiero verso i rematori,
all’ufficiale lor offre il sorriso: “Forza keleustes solleva i furori, voglio vedermi
passare Serifo come sol battito d’ali d’oseo, e giunger rapido infine al Pireo,
che già m’immagino quale diletto! Che’l bel Falero sereno m’annuncia! Oh quanto
tempo! Oh quanta rinuncia! Porto dell’anima luogo perfetto.”
“Beh, generale, siam quasi arrivati.” Gli si
fa accanto il feace armatore, del bravo legno eccellente proreo, che
dall’esilio l’avea riportato, poi in quel di Delfi l’avea accompagnato, e
infine al periplo del Peoloponneso, dopo insistenza del soldato assolto, pur
consigliando diverso sentiero, al suo disio s’era infine risolto. “Ero,
confesso, Maris, preoccupato, che la più breve beotica strada tu non avessi poi
infin praticata.”
“Sì, ti capisco, oh caro mio amico.” Poggia
la mano sulla spalla altrui, il gran guerriero che conobbe bui, tristi quei
giorni d’esilio assegnati, ch’or pienamente vuol sian riscattati. “Ma in
pentecontera m’avevan cacciato, di tradimento il fardel caricato, ed ora voglio
tornar dal confino com’ero allora, in naviglio, partito.”
“Certo, comprendo, lo compresi allora,”
tentenna il capo il prodiere feace, “ma sai che a volte può essere il mare,
sotto la coltre gentile e spumosa, di gran tempeste fattore mendace, e negli abissi
portare chi osa sulle sue acque in ventura viaggiare.”
Finito appena ebbe quindi parlato, che nella limpida
e quieta mattina, immensa onda la prora solleva, gettando indietro la pentecontera.
Turbine d’uomini per tutto il ponte, chi va alle
funi chi a vela e chi a sponde.
“Forza coi remi!” il keleustes or grida.
“Qui non risponde!” il kybernetes d’ira, tira
e sospinge l’inutile barra, ch’onda non tocca né vale toccarla.
Vortice spuma ruggito e marosi, tutto all’intorno
è sol acqua e tormento, viaggia la nave qual voli nel vento, cadono in mare metà
rematori, il kybernetes, da spruzzi sospinto, piomba all’indietro e nessun l’ha
più visto.
Senza nocchiere né vela né remi, guscio impotente
in tempesta impietosa, ora s’affonda e ogni tanto riemerge, ormai diretto senza
rimedio verso le terre lontane d’Argestes, laddove i terei, gran maledetti, spinti
da Apollo nei tempi passati, vi costruiron di nuovo i lor tetti, che poi non molto
sarebber durati.
“Eh… ti pareva…” Afrodite scuote il capo, rattristata.
“Povero il mio Maris… era quasi arrivato.”
“Si preannuncia
lunga, questa vostra storia…” Atena, al telaio di stelle, ricamava, con ago dorato
e filo argentato, il gruppo di Perseo.
“Bah… io ho tempo.”
Lisciandosi le vesti, la bella callipigia lascia il balcone e si dirige verso l’esterno
del giardino d’Olimpo.
Atena solleva
il sopracciglio sinistro dal lavoro di tessitura. “E dove te ne staresti andando,
mia cara?”
Afrodite si ferma.
Si volge. Ammicca.
“È anche zio
mio, Poseidone.”
Cesare Bartoccioni, 2 gennaio 2017
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