I due titani - capitolo nono: Dei ed eroi



Capitolo nono
DEI ED EROI

Riuniti davanti al tempio sul golfo, sparsa la folla fin in fondo al Diolkos, gli arconti ad Isthmia alle sette colonne trattan su come al nemico far fronte.
“Sei proprio sicuro, vero, Temistocle, che la Tessaglia non è difendibile?”
“Caro Cimone, sei pur generale, poi c’era Clas lì sul posto a osservare, quello si batte anche contro le Erinni, se torna credi non vi son appigli”.
“E il generale qui della marina, non doveva egli arrivar stamattina?”

“Seee! Aspetta aspetta, Temi’… Nun te n’annà eh?” Ares, affacciato al balcone d’Olimpo, accompagna l'uscita beffarda con un subitaneo piegamento del braccio sinistro sul cui incavo appone, con una sonora pacca, il palmo della mano destra.
“Che eleganza…” Atena sprezzante abbandona il lavoro sul telaio. Pegaso rimane senza la delta, e il suo quadrato, privato così dell’alfa di Andromeda, rimane incompiuto. “Me ne vado. Tornerò al lavoro sul gruppo di Perseo quando ci sarà un po’ più… d’educazione.”
“Ahò, c’ha ddetto quella?”
“Tranquillo, Ares, tranquillo.” Ermes, un riso sarcastico stampato sul volto funesto, si frega le mani, soddisfatto, accanto al compare. Poi indica maligno, col mento e col ghigno, oltre il balcone. “Godiamoci lo spettacolo.”

Trafelato un messo in arrivo d’Atene raggiunge l’arconte e con doglie e con pene racconta che immane tempesta in Egeo ha Maris sospinto lontan dal Pireo.
“Nulla s’è visto di tanto imponente, mai nel ricordo di nessuna mente, e Maris d’Atene nel fondo silente con Poseidone è già sicuramente.”
Triste lo sguardo infelice nel volto, guarda Temistocle il suolo sconvolto.
“Ah dannazione notizia nefanda, ora la flotta senz’altro va a Sparta.”
“Come sarebbe?” Protesta Cimone “Sono pur io un gran navigatore!”
“Sì ben lo so, lo sanno pur tutti, ma quel comando dei legni sui flutti solo per Maris l’avrebbe accettato il nostro forte alleato spartano; quindi Cimone non mi far problemi, che a te riservo una bella triremi.”

“Lo vedi, zietto? Che ti dicevo? Ti onorano talmente tanto che sono convenuti perfino al tuo tempio sull’istmo.”
Afrodite, seduta su un immacolato scoglio nel mezzo dell’Egeo, il sinuoso busto inclinato sulla sinistra, appoggiata sul candido gomito, le formose e lunghe gambe accavallate con i dolci eleganti piedi a sfiorare la spuma marina, si accarezza il bel corpo nudo, lentamente, passandosi le affusolate a armoniose dita della mano destra dagli splendidi fianchi ai turgidi seni.
“Allora, non mi dici niente?” La bellissima tra le bellissime si inchina quindi verso le acque e, sempre tenendosi allo scoglio con la sinistra, immerge la destra nella spuma che, gradualmente, ribolle. Il mare s’ingrossa lentamente ma inesorabilmente, finché una grossa ondata spruzza dalla base dello scoglio e bagna Afrodite completamente.

Maris si sveglia stordito e bagnato, solleva lento il suo corpo straziato, la sabbia copre i suoi occhi e le membra, cerca d’alzarsi e un istante gli sembra, d’esser da strane figure attorniato, ma senza sensi è di nuovo crollato.

“Ahò… ava’… è ancora vivo, quello!”
“Sì, ma non ci interessa. Ora è fuori gioco, e lo resterà per un bel pezzo. Piuttosto…” Ermes getta il braccio destro sopra le spalle di Ares, con fare cospiratorio. “Che mi dici di quella battaglia, tu? Tutto a posto, no? Non come quella volta coi macedoni, eh?”
Ares si profonde in esagerate gesticolazioni rassicuratorie.
“Tranquillo, tranquillo, nun te preoccupa’. Stavolta ‘i ho trovato un avversario più che degno.”

“Il grosso il Peneo ha ormai già guadato,” accenna col mento lo sguardo ed il capo, a Clas suo lochagos il buon enomotarco, “è tempo per noi pur lasciar questo campo”.
“Va bene, mio amico, sai ben che mi costa,” risponde Clas fiero, la mano sull’elsa, “ma non è il momento di compier le gesta, verrà però il tempo di far lor la posta.”
Rumore improvviso di gran calpestio, qual suono di tuono creato da un dio, fa volger lo sguardo a Clas lentamente e pure al suo fido buon luogotenente.
Enormi animali con bronzee corazze, arcieri sui loro castelli montati, l’elite dei dailamiti ai fianchi con mazze assaltano rapidi i pochi spartiati.
Il fiume alla schiena, lor paiono inermi, di fronte alla schiera dei gran pachidermi.

“Aha! Eccoli, ahò! Amo’ vojo vede’ vojo, eh?”
“Deficiente!” L’urlo di Ermes paralizza Ares, che volge lo sguardo sconcertato al fratellastro.
“Ma chi…?”
“Tu! Tu! Ti chiedo di organizzare una scaramuccia… e tu… tu… mandi gli elefanti corazzati!”
Ermes, gli occhi iniettati di sangue, apre e stringe i palmi forsennatamente.
“Ahò, e cche… Ho mandato i mejo, no? L’artra vorta te sei lamentato, te sei…”
Ermes, sbuffando sconsolato, scuote il capo. Poi prende il fratellino, delicatamente, per il braccio sinistro, avvicinandogli il volto al suo.
“Ascoltami, bene, Ares, fratello mio… Leggimi le labbra… Clas vince, io Afrodite. Clas perde, io niente Afrodite. Capisci?”
Ares fa spallucce. “Ah, beh.. eh… Dai, su, almeno godemose il combattimento, godemose, dai.”

“Eccoli, infine, quei grandi giganti.” Clas già con l’oplon si mette dinanzi. “Pensate, barbari, di spaventarmi? Sempre ho voluto con voi confrontarmi.”
Serra le linee Clas rapido e saldo: “In formazione!” il suo ordin spavaldo.
Rossa gran lambda su quei neri scudi, lance già in resta di quei forti e duri.
“Occhio alle frecce poi pronti allo scontro, quei pachidermi colpiamo da sotto.”
I dardi volano in lunga parabola, chi vien colpito chi vi lascia l’anima, senza un lamento vien sostituito, dai suoi compagni che l’hanno seguito e che si apprestano con nulla fretta, alla battaglia ed alla vendetta.
Oplon e dory di nera falange, fermano e pungono ogni elefante, grande massacro di bestie e di genti, lo zend-hapet chiama i suoi rimanenti.
“Il loro capo li sta ritirando.” L’enomotarco si volge al comando.
Clas già ha ordinato il passaggio alle spade: di mahut e dailamiti fa strage, nel corpo a corpo non tiene elefante, non tiene arciere né mazza né fante, in quel terreno dal fiume richiuso, non resta vivo nemmeno un intruso.

“Eh? Eh? Visto? Visto?” Ares era al colmo del visibilio. “Ha vinto! Ha vinto!”
“Già. Beh, fratellino, la vittoria è stata davvero totale.” Ermes si stava fregando le mani, già pregustando il suo bottino. “Senza alcun dubbio…”
“Siete due deficienti.” Atena, rientrata nel giardino d’Olimpo, si accosta al telaio, dà un’occhiata al lavoro che aveva interrotto, come a prendere delle misure, e fa per tornarsene via.
“Come sarebbe? Ha vinto,  no? È indubbio!” Ermes ghigna di trionfo.
Atena si ferma sul bordo del giardino. Si volta. Fulmina lo psicopompo con un’occhiata compassionevole.
“La scommessa non riguardava Clas e gli elefanti. Ringrazia Zeus che Maris sia ancora vivo. Anzi… ringrazia Poseidone.”
Un colpo terribile alla schiena fa piegare in avanti e quasi cadere il postino dai piedi alati, che, volgendosi, capisce di essere stato oggetto di un gioviale buffetto da parte di Ares. Questi, ridente, batte le mani. “Ahò, eh cc’ha ragione, cc’ha!”

Maris si desta, il suo corpo lavato, viene accudito su un caldo giaciglio, con la tisana del magico silfio, dalla ragazza dai bei lineamenti, figlia di Tera e dei suoi discendenti, che dalla spiaggia l’aveva salvato.
Beve e si sente Maris rinfrancato. Guarda la giovine e sorride grato. Neri capelli le toccan le spalle, pelle d’oliva e nere pupille, tunica bianca sul corpo sottile, ch’emana aroma di fiori d’aprile.
“Io ti ringrazio, mia benefattrice. Dove mi trovo?” Le chiede gentile.
“Sei nella terra dei grandi misteri, ma ora taci ch’è tre giorni interi, che sulla spiaggia io t’ho ritrovato, e solo adesso ti sei risvegliato.” Suadente voce da bocca cortese, labbra piegate di mestizia piene.
“No, io non posso qui molto restare, devo senz’altro un naviglio trovare, nella mia Attica vo’ ritornare, che’l rude barbaro vuol conquistare.”
“Lontana è l’Attica, signore mio, urge le forze richiedere al dio, che già dall’acqua t’ha appena salvato, da Poseidone sei certo graziato. Ma prima che possa tu ripartire…” segue la donna con ansioso dire “per sdebitarti ti chiedo un favore.”
“Chiedimi pure, sarà per me onore.”
“Qui tu ti trovi nel regno di Lamia, che i nostri figli seduce ed ammalia, poi li divora nella sua caverna, donde spietata noi tutti governa.”
Maris pensoso riflette e ripensa, leggenda antica che si ripresenta, crede o non crede non ha poi importanza, gli occhi che guarda son più che abbastanza.

“Beh, comunque vada, caro il mio fratello dal pie’ alato, una cosa è certa…”
Ermes, buio in volto come la notte, si volge alla voce calda e nitida che, dalla rosea bocca di Afrodite, si diffonde come un benefico vapore per tutto il giardino d’Olimpo. “Dovrai aspettare un bel po’.”


Cesare Bartoccioni, 5 gennaio 2017

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