Cerbero - racconto del grottesco



CERBERO


Cerbero aveva sempre funzionato a dovere. Beh, quasi. Comunque, non aveva mai dato problemi gravi.
Fino a quel giorno.
La porta della Presidenza continuava a restare ostinatamente chiusa. Dall’interno, i suoni gracchianti e concitati di una nervosa conversazione telefonica non mi facevano presagire nulla di buono.
Seduto in incomoda attesa, riandai con la mente al fatto assurdo accaduto poche ore prima, in classe. Non riuscivo ancora a crederci.

---

“Giovanni! Ma ti pare possibile?”
Giovanni, l’alunno più indolente della scuola, mi aveva guardato con occhi svagati.
“Insomma, Giovanni!” Avevo proseguito. “La tua è l’unica tavola che mi manca. Sono tre settimane che devi portarmela. Sei l’unico senza valutazione quadrimestrale. Ti rendi conto?”
Giovanni stava continuando a osservarmi, senza mutare espressione.
Avevo sbuffato, esasperato. “Quando pensi di consegnarla?”
Giovanni si era mosso faticosamente sulla sedia. Si era passato il pollice e l’indice della mano destra sul mento, assumendo un’aria meditabonda.
“Facciamo così, prof… Ora, appena torno a casa, controllo l’agenda e vedo dove posso inserirla.”
Leggeri risolini erano risuonati nel sottofondo della classe.
Avevo ciondolato il capo, sconfortato.
“Bene, Giovanni. Beh, intanto ti inserisco io qui nel registro.”
Avevo quindi aperto la scheda delle note disciplinari. Ero scorso giù nell’elenco fino al nome di Giovanni, avevo scritto la nota, avevo posizionato il cursore sul pulsante ‘Salva’ e… avevo cliccato.

---

La porta si aprì di pochi centimetri. Gli occhi torvi del dirigente scolastico mi squadrarono dalla fessura.
“Venga, venga.” Il tono non era propriamente di benvenuto.
Entrai. Presi posto sulla poltrona in similpelle nera che mi era stata indicata con un brusco cenno della mano.
Il preside si accomodò dietro la sua scrivania. Mi fissò in silenzio per pochi, lunghi secondi.
“Professore…” iniziò quindi con un tono fintamente allegro. “Sa con chi ho appena avuto il piacere di parlare al telefono?”
Lo sapevo benissimo, naturalmente. Ma provai a sdrammatizzare.
“Con… il Ministro della Pubblica Istruzione?”
Il preside socchiuse gli occhi in due sinistre fessure.
“Ho parlato con i genitori del suo alunno Gioacchino.”
“Ehm… Giovanni?”
Il preside batté il palmo sul tavolo, in un subitaneo moto d’ira.
“Giovanni, Gioacchino, Giuseppe!” Urlò. “Che differenza fa? Dato che è scomparso! Ma come si fa?” Continuò, sempre urlando. “Come può un alunno scomparire dalla classe, durante la sua lezione? Eh?”
“Beh, ecco…” incominciai. “Veramente… non lo so… Io ho messo solo una nota e…”
“Nota! Nota!” Il preside era balzato in piedi, rosso in volto, le parole gli uscivano ruvide e roche dalla bocca. “Sempre con queste note! Non l’ha letta la circolare di inizio anno, la numero 1, sulle note?”
L’avevo letta, naturalmente. E l’avevo anche mandata a memoria, tanto mi aveva colpito.
‘In occasione dell’avvio dell’anno scolastico la Dirigenza desidera rammentare a tutto il personale docente che, onde evitare di porre inutili e gratuiti ostacoli all’individuale percorso di apprendimento dei singoli alunni, le note disciplinari e le valutazioni negative potranno essere attribuite soltanto dopo attenta esamina del caso, previo accordo unanime con i colleghi del Consiglio di Classe e solo a seguito di debita autorizzazione scritta da parte del sottoscritto.’
“Preside, mi scusi…” tentai. “Non è tanto la nota in sé… Il problema…”
“Il problema!” Interruppe il dirigente. “Il problema è che qui c’è un alunno che non è tornato a casa, e nessuno sa dove si trova!”
“Lo so!” Ribattei. “Lo so bene! È proprio ciò che sto cercando di dire. Io ho messo la nota, e nel momento stesso in cui ho cliccato sul pulsante ‘Salva’…. Giovanni è scomparso!”
“E lei non l’ha rincorso? Non ha chiamato la collaboratrice?”
“Preside…” fui io, ora, ad alzarmi, e il mio sguardo dovette avere un’espressione davvero tremenda, perché il dirigente scolastico si rimise seduto all’istante, e all’istante si zittì. “Quando dico ‘scomparso’, lo intendo in modo letterale.”
Il preside continuava a fissarmi. Proseguii.
“Appena ho cliccato su ‘Salva’, Giovanni è svanito, come un fantasma.”
Il dirigente scolastico tornò a socchiudere gli occhi, riacquistando l’abituale altero atteggiamento.
“E io dovrei credere a una cosa simile? Questa è la storiella più assurda che abbia mai sentito in tutta la mia carriera. E le assicuro di averne sentite di tutti i colori. Crede davvero di potersi parare il…”
“Insomma, Preside! C’è un’intera classe di testimoni! Chieda ai ragazzi.”
Il preside si alzò di nuovo. Mi squadrò minaccioso. Quindi fece dei lenti e intimidatori cenni affermativi con il capo.
“È proprio quello che farò. Non dubiti. Nel frattempo…”
Stavo già alzandomi dalla sedia. Mi fermai a mezz’aria, in attesa che il preside terminasse la frase.
“…Nel frattempo, caro docente, lei e il suo alunno… scomparso… siete impegnati in un delicato progetto di tecnologia che sta prolungando il tempo scolastico del suo… pupillo.”
“Che?”
Il preside sollevò le mani, come ad arrendersi.
“Ah, senta un po’! Qualcosa dovevo pur inventarmi, no? La madre minacciava di andare dai Carabinieri!”
“Ma, Preside, io direi che è proprio il caso di chiamarli, invece! Insomma, Giovanni…”
Il preside mi fermò con un autoritario cenno del palmo della mano, aperto a pochi centimetri dal mio naso.
“Niente Carabinieri. Macché, stiamo scherzando? Vuol forse che la nostra scuola finisca su tutti i giornali?”

---

Il giorno dopo ero di nuovo nell’ufficio di Presidenza. L’atteggiamento del dirigente, stavolta, era vagamente conciliante.
“Ho sentito i ragazzi, professore.”
“Bene, allora adesso mi crede, no?”
Il preside si lisciò l’ispida e rada barba. Poi si fregò le mani, socchiudendo le palpebre pensieroso. Non si prese nemmeno la briga di rispondermi.
“Ho detto ai suoi alunni che il loro compagno è stato scelto personalmente da lei per la sperimentazione di una nuova… tecnologia che questa scuola si pregia di finanziare. E che quindi, per qualche giorno, Girolamo non frequenterà più le normali lezioni.”
“Giovanni… Si chiama Giovanni. Comunque, Preside, non penso che…”
Il palmo aperto steso di fronte ai miei occhi e un cenno ammiccante nello sguardo del dirigente interruppero la mia protesta.
“Naturalmente ho provveduto anche a chiamare di persona i genitori più rompiballe di quella classe. Quindi, caro professore, dovremmo essere a posto.”
“A posto?” Non credevo alle mie orecchie. “Ma, Preside… Giovanni è scomparso! Non sappiamo dove sia, che fine abbia fatto. E poi non credo che i genitori si berranno…”
“Che se la bevano o no, questo, caro professore, non ha alcuna importanza. Quello che conta, è che noi ora abbiamo una versione ufficiale.”
“Eh… ma non abbiamo più Giovanni…”
“Questo è affar suo, caro professore.”
“Affar mio? Come sarebbe?”
Il preside si alzò, e iniziò a camminare, con le mani incrociate dietro la schiena, da un lato all’altro dell’ufficio.
“Sarebbe, prima di tutto, che lei ha settantadue ore di tempo per far tornare Giorgino in classe.”
“Giovanni.”
“Bah, è uguale. Ho detto ai suoi genitori che per tre giorni, al loro pargolo, che tra parentesi ho dovuto spacciare per una specie di giovane luminare della scienza… e questo sì, che mi è costata fatica farlo credere, altro che la sparizione… insomma, al loro pargolo penseremo noi, con tutti i riguardi del caso…” Il preside interruppe la camminata e mi diede un’occhiata di sbieco sollevando a mezzo il sopracciglio sinistro. “Devo dire, caro professore, che i genitori non si sono poi stracciati le vesti più di tanto… anzi… sembravano quasi contenti…”
Eh, ci potevo credere… tre giorni senza quel ‘luminare’ tra i piedi… tutta vita!
“Secondo, caro il mio bravo docente…” riprese il preside, “Mi risulta che lei fosse membro della commissione che ha adottato il registro elettronico, no? Quindi è direttamente responsabile di questo… malfunzionamento.”
“Beh, veramente, io e la mia collega della commissione ne avevamo scelto un altro, di registro. Si figuri che, con questo, una volta riportati i voti nelle competenze, è come se li avessi scolpiti nella roccia, non c’è verso di modificarli o annullarli… se devo segnare un’uscita anticipata ho bisogno di usare l’app, se invece voglio visualizzare lo storico del mio registro personale devo aprirlo col browser, perché l’app non mi mostra le icone delle stampe, e se devo controllare o variare il mio orario devo aprirlo dalla nuova interfaccia didattica... Insomma, tre schermate diverse per uno stesso registro…”
“Che vuole che le dica, professore, sarà per questo che lo han chiamato Cerbero, no?”
“Ah, può essere. È proprio un cane di registro, se è per quello… Comunque, tornando al discorso, Preside, io sinceramente non vedo…”
“Quello che vede o che non vede, caro professore, non mi riguarda né m’interessa. Lei ha messo la nota, lei è responsabile della scomparsa di Giulio. Ora può andare.”
Giovanni. Ma lo pensai solamente, senza più ribadirlo. Era un congedo. E mi trovavo a tre giorni dal licenziamento.

---

Tre squilli… quattro… cinque… … al nono squillo mi rispose una voce impastata, maschile, che pronunciava le doppie dove non c’erano e strascicava la esse.
“SServizzio clienti sscolastici Ccerbero. Sònno Mmichele, comme posso aiutarla?”
“Buongiorno, sono il docente di tecnologia dell’Istituto Omnicomprensivo Bellavista. Senta… ho avuto un problema con il tasto ‘Salva’… nella sezione delle note disciplinari.”
All’altro capo del filo, il silenzio.
Attesi qualche secondo.
“Pronto? Siete ancora in linea?”
“Eh… ccerto ccerto. Eccoci. Ehm… ora… ora… le posso un attimo passare un programmattore?”
“Certamente. Grazie. Attendo.”
Attesi un minuto. Due. Tre. Poi la comunicazione si interruppe. E non ci fu più verso di rimettersi in contatto con il sservizio clienti sscolastici…

---

Il maresciallo De Pasquale mi fece entrare, lo sguardo burbero a voler nascondere, senza successo, la naturale gentilezza d’animo che gli traspariva dal volto. M’indicò una sedia di fronte a una porta sul cui rosso legno riluceva una targhetta di ottone. Mi sedetti. Il maresciallo aprì la porta, entrò e si richiuse l’uscio alle spalle. Fissai gli occhi sulla scritta incisa sulla targhetta: ‘Commissario Berti’.
Era la mia sola speranza.
Dalla porta chiusa, riuscivo a sentire soltanto la voce da basso del maresciallo.
“Mah, dice che la conosce.” … “Bah, sembra un tipo a posto.” … “Un insegnante.”
La porta si riaprì di lì a poco. Il gioviale volto del maresciallo fece capolino dall’apertura. Mi invitò a entrare con un espressivo cenno delle sopracciglia.
Il commissario mi squadrò per bene, socchiudendo leggermente gli occhi come a cercare di far collimare il mio volto con qualche sua vecchia memoria. Ma non era il mio volto, che conosceva.
Mi strinse la mano.
“Ci siamo già visti da qualche parte?”
Ricambiai la stretta con un sorriso enigmatico. Senza preamboli, mi sedetti e gli esposi il caso.
Il maresciallo, che era rimasto in piedi, sulla soglia, all’interno dell’ufficio, iniziò a emettere alcuni sordi brontolii di disapprovazione.
Il commissario Berti si sistemò sulla sedia, come a cercare una posizione più comoda, e si appoggiò allo schienale. Buttò un’occhiata a De Pasquale, quindi puntò gli occhi su di me.
“Senta… lei lo sa, vero, che, per un caso come questo, io devo, d’ufficio, sporgere denuncia? Scuola o non scuola. E poi, sinceramente, non sono proprio un esperto di casi del genere…”
“Commissario, su, non faccia il modesto. Quella volta del Manneken Pis e di quello pseudo ballerino che spacciava la sua orina per arte, dove la mette, eh?”
Il commissario si alzò di scatto dalla poltrona, le mani poggiate sulla scrivania, le braccia tese e percorse da un nervoso fremito.
“E lei come fa a sapere di questa storia? È classificata come SS. Segretissima!”
Lanciò di nuovo un’occhiata al maresciallo. Mi voltai seguendo il suo sguardo. De Pasquale si strinse nelle spalle e negò vistosamente col capo. Quindi Berti tornò a fissarmi, in attesa della mia risposta.
Gli sorrisi di nuovo, un sorriso aperto e schietto. Quindi, senza porre tempo in mezzo, estrassi (lo confesso, in modo vagamente teatrale…) dalla tasca della giacca la mia raccolta di racconti, Contrappunti.
“Pagina 45.”
Il commissario prese il libro, lentamente. Notai che la sua mano aveva iniziato a tremare.

---

Quarantotto ore erano già passate. Me ne stavo affacciato alla finestra aperta, godendomi quello che forse sarebbe stato l’ultimo respiro d’aria pura da uomo libero. Sollevai la destra, e mi portai alla bocca la mezza pinta di Guinness rimasta. In quel momento squillò il telefono.
“Berti.”
“Buonasera, Commissario. Mi dia una buona notizia.”
“Gliene do una cattiva, invece, ma potrebbe essere anche buona.”
Restai in silenzio, in attesa che il commissario continuasse.
“Ho fatto svolgere delle indagini alla mia collaboratrice, l’Ispettrice Cipani. Le sottolineo che non è stato facile, dato che in questo periodo si trova in… beh, è assegnata ad altri incarichi. Comunque… a quanto pare… i programmatori di Cerbero sono riusciti a fare tutti i casini possibili immaginabili con il coding che hanno utilizzato. Una cosa incredibile. Nemmeno a mettersi giù d’impegno si potrebbe arrivare alla metà del caos che hanno combinato. Insomma, professore… o devo chiamarla…”
“Professore va benissimo.”
“Mmh… per farla breve… hanno introdotto, sicuramente senza neanche rendersene conto, delle variabili quantiche nel programma. Non so se mi sono spiegato.”
Si era spiegato benissimo.
“E… in che modo questa notizia potrebbe anche essere buona, Commissario?”
“Beh… se si è verificata una variante inattesa cliccando su un pulsante… Magari… cliccando su…”
Avevo capito. Salutai il commissario, lo ringraziai, e lo pregai di ringraziare anche l’ispettrice e il maresciallo.
Era una cosa semplice, in fondo. Ma per me sarebbe stata molto difficile.

---

La classe era al completo. Tranne uno. Ma in compenso il preside aveva deciso di presenziare come auditore, sedendosi accanto alla porta.
Alla cattedra, accesi il mio tablet.
Il silenzio in aula era totale. Si sarebbe sentita volare una mosca.
Aprii Cerbero. Cliccai sulla classe in orario. Cliccai sulla scheda delle note disciplinari. Scorsi giù, fino al nome di Giovanni. Posizionai il cursore sul pulsante ‘Elimina’.
Il mio dito si stava rifiutando di eseguire.
Non avevo mai annullato una nota disciplinare in vita mia. Nella mente iniziò a turbinare un vortice, un tornado, che risucchiava via, nel vuoto, i termini e le accezioni di tutta una carriera. Pedagogia. Filosofia. Educazione. Formazione. Docimologia. Logica.
Comunque, alla fine, mi mancava un alunno.
Cliccai.
Un diffuso brusio di ‘Oooohhh’ si sparse tra tutti gli astanti salutando la subitanea riapparizione di Giovanni.
Il preside, con un secco cenno affermativo del capo, si alzò, si fregò le mani, e se ne andò.


Cesare Bartoccioni
21/22 ottobre 2017

Nessun commento:

Posta un commento