Racconto di caccia... in prospettiva.
FIDO
L’odore
pungente dell’aria del mattino portava con sé l’ultimo messaggio
dell’autunno. Le foglie secche sotto di me presto sarebbero state
solo un ricordo. Peccato, perché mi piaceva quella stagione. Fresca.
Pulita. Per di più era stato un periodo molto produttivo: io e il
mio Fido ci eravamo aggiudicati un ricco bottino tra volatili e
quadrupedi vari.
Ancora
si potevano sentire quelle zaffate di leggero marciume che
stimolavano i miei sensi di cacciatore. Nella leggera nebbia del
mattino, concentrandomi, potevo percepire anche il più lieve e
lontano rumore. Un richiamo irresistibile nel silenzio della
campagna. Il richiamo della natura selvaggia che era in me. Il senso
atavico del bisogno di una preda.
Camminando,
con Fido al mio fianco, nel silenzio e nel mistero della caccia, non
sentivo nient’altro che un acuto bisogno di andare avanti, di
cercare, di trovare… di predare.
Non
esisteva la stanchezza. Non esisteva il dolore. Solo l’impulso
irrefrenabile di scovare la preda. E di prenderla.
Quella
mattina, in preda alla mia solita smania della ricerca, mi accorsi
all’improvviso che Fido non era più vicino a me. Chissà dove si
era ficcato. Del resto era normale, in lui. Spariva per lunghi
periodi di tempo, poi ritornava sempre al momento giusto.
Andai
avanti da solo, come di solito facevo, seguendo il mio istinto, gli
odori, le sensazioni che sempre mi guidavano in quelle sortite.
Mi
infilai in un boschetto, guidato da tracce ben incise nella mia
memoria. Passai attraverso angusti passaggi, vecchi sentieri,
tracciando, seguendo, puntando verso il luogo dove il mio istinto mi
diceva esserci qualcosa.
Uscii
all’aria aperta, in una radura. Per un momento i miei sensi si
confusero. Poi, tracciando e seguendo, mi indirizzai senza esitazione
giù per un fosso. Arrivai al fiume. Bevvi la fredda acqua con
avidità. Ripresi la pista.
Il
cuore mi batteva veloce, in preda all’eccitazione. Sentivo che la
preda era vicina.
Non
sentivo più nemmeno il terreno sotto di me, non sentivo né i miei
muscoli né i miei pensieri. Solo l’inseguimento contava. Solo
nell’inseguimento ero concentrato.
Risalii
il fosso dall’altra parte del fiume, attraverso un boschetto di
rovi e rami intricati. Non mi curavo delle spine, dei graffi, del
dolore. Non me ne accorgevo neanche. Una cosa sola riempiva la mia
mente: raggiungere la preda e prenderla.
Nella
frenesia che mi pervase non mi accorsi più di nulla. Seguivo la
pista come se fossi stato cieco. Mi ritrovai all’improvviso sul
ciglio di un burrone, che scendeva a strapiombo su un ruscello che
brillava laggiù in lontananza. La preda, ero sicuro, si trovava
oltre il baratro. La mia mente era completamente offuscata dal
desiderio di cattura. Senza pensarci iniziai a scendere. Usando gli
appigli più disparati (sporgenze di roccia, arbusti sospesi),
rischiando mille volte di cadere, arrivai in fondo, sul ruscello.
Bevvi l’acqua con un senso di vittoria e di sfida. Attraversai la
linea d’acqua e iniziai a risalire la china opposta.
La
sensazione era fortissima, ora. Mi avvicinai a un cespuglio con
cautela, quasi impercettibilmente. Ero sicuro. Lì era la preda.
Mi
irrigidii. Non c’erano più dubbi. Feci per avvicinarmi
ulteriormente e… si mosse. Un rumore assordante di foglie in
contatto riempì l’aria. Davanti a me si scatenò un circo di
polvere, vegetazione e piume. Il grosso uccello volò via dal
cespuglio, in verticale prima, poi con un movimento rotatorio puntò
verso di me, sopra la mia testa. Si stava allontanando. Io lo seguivo
con lo sguardo.
Fido
uscì da non so dove proprio in quel momento (al momento giusto, come
sempre), imbracciò il fucile e sparò. La preda cadde.
In
preda alla felicità più incontrollata, sfogando la mia gioia con
acute strida, corsi verso l’animale, lo afferrai tra i denti e lo
depositai, scodinzolando, ai piedi del mio compagno. Egli si abbassò
verso di me e iniziò ad accarezzarmi.
Cesare Bartoccioni
8 Aprile 1999
Cesare Bartoccioni
8 Aprile 1999
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