I due titani - capitolo decimo: Metamorfosi



Capitolo decimo
METAMORFOSI

Atena si liscia la marina veste con le mani, come a ripulirsi i palmi dalla polvere di stelle. Il gruppo di Perseo, sulla tela, è compiuto, e il suo sguardo è compiaciuto.
“Non so, sorellina mia…” La voce, calda e suadente, tradiva una punta d’ansia, non consueta nel tono della bella callipigia. “Quest’avventura del buon Maris… Mi preoccupa. Nessuno prima è mai riuscito a…”
“Tranquillizzati.” L’accento di Atena, in cambio, era la quintessenza della sicurezza. “Ci riuscirà. Purché… apprenda a cambiare.”

Maris si trova con l’antica gente, sull’arenile dove fu salvato, non è più debole o convalescente, parte in missione per mostrarsi grato.
“Devo avvisarti, nessuno è tornato.” Lo guarda triste la bella ragazza. “Quella ti prende ti ammalia e t’ammazza, chi muore subito è sol fortunato.”
“Stai pur tranquilla, non mi tiro indietro,” risponde Maris col tono più altero, “devo la vita a te e compatrioti, e in quanto a Lamia, pur io ho le mie doti.”
“Temo non bastino, grande guerriero.” Si volge Maris a chi appena ha parlato, osserva l’uomo che ha sguardo sincero, tunica grezza e bastone curvato. Questi continua, accennando un inchino. “Pria d’affrontarla, va’ a prender consiglio, nel luogo ombroso che sta qui vicino.” Gli offre poi il braccio, con candido piglio e Maris lo segue, nella sua armatura, l’uomo gli ispira senz’altro fiducia.
Giunti all’ingresso di un antro notturno, l’uomo lo invita ad entrare nel buio. “Il mio lavoro oramai è terminato, ora sta a te, Maris, svolgere il fato”.
L’uomo s’en va rimenando alla spiaggia, Maris si volge alla soglia offuscata, sente che adesso, gli piaccia o non piaccia, non gli rimane che passar l’entrata.

“Oh, mio buon padre, proteggilo!” Afrodite, gli occhi di giada velati d’un brillio di angoscia, si porta le mani alla bocca, in un gesto tanto inquieto quanto affascinante.

Cammina Maris, via via discendendo, stavvi un sentiero senza un fil di vento, tutto vi tace in quel mondo dell’ombre, quasi nessuno vi ritorna donde.
All’affluente del rivo in cui Teti quel suo bel figlio rendette immortale, tranne il tallone dell’un de’ suoi piedi, si pose Maris per l’attraversare.
“Fermo, tu stolto, non sei ancor dei nostri!” Voce terribile gela le vene. Viene da destra sul legno dei morti, demonio anziano con occhi di brace, porta nel volto del mondo le pene, s’accosta a Maris lo scruta e sì tace.
“Qui m’han mandato,” risponde il guerriero, “m’han detto segui quest’aspro sentiero, ché del consiglio in ricerca tu andrai, se no la Lamia mai tu vincerai.”
Stringe le palpebre il bianco vegliardo, poi senza motto di fronte al vivente, stende il suo braccio con in alto il palmo, e Maris comprende immediatamente.
Si fruga Maris di sotto alle vesti, l’obolo trova e lo pone sul palmo, resta l’anziano sì immobile e calmo: “E pel ritorno che fai, non ci pensi?” Maris fa cenno col capo e col mento, cerca di nuovo e sol trova un talento. “Ho solo questo, non hai mica il resto?” Ma l’ha già preso e nel buio sì pesto, lo porta il vecchio alla riva più interna, quivi lo sbarca e gli dà una lanterna. “Vai sempre dritto su questa discesa,” gl’indica serio quel buon rematore, “vengo a riprenderti pria del dolore, laggiù nel fondo t’attende Tiresia.”
Scende il buon Maris novello Odisseo, fin dove un’alta figura l’attende, spera nel fato che fu pur d’Orfeo, ma inizia intanto a parlargli il saccente.
“A grande impresa sei tu destinato,” dice la voce con tono sottile, che non s’intende nel suo lieve afflato, s’è poi maschile oppur se femminile, “non dire nulla ed ascolta soltanto: Maris d’Atene tu un dì tornerai, e la tua Attica poi salverai, ma per combattere adesso l’incanto che orrida fiera t’ha già preparato, volgi il tuo braccio lì al mare salato, l’acqua raccogli in un cratere in rame, tienilo al sole finché non rimane ciò che poi tu nella lotta userai, quindi la belva decapiterai.”
Sente nell’ossa ora un gelido male, comprende Maris che più non può stare, tutto il suo corpo si snerva e ribella, quando dall’acqua qualcuno favella.
“Torna veloce e rimettiti in barca!” Urla il vegliardo battendo col remo. Maris senz’altro ritorna e s’imbarca e fuor dall’antro in un solo baleno, ride alla luce e al balsamico vento, socchiude gli occhi abbagliato e contento.

Un sospiro di sollievo esce dal sodo petto di Afrodite.
“Fortuna che lo zio Ade non s’è accorto di nulla…”
“Già…” Affacciata al balcone d’Olimpo, Atena sorride all’uscita di Maris dal mondo dell’oltretomba. “Sicuramente starà dormendo, come al solito. Chissà che condizioni gli avrebbe posto, per tornare in superficie.”
“Non ci voglio neanche pensare…” Afrodite si sistema la nuova veste turchina, che ne esalta le deliziose rotondità.
“E ora…” riprende l’allegra Pallade con un ghigno benevolo sul volto sereno “vediamo se il tuo campione si adatta al lavoro salato…”

Maris ritorna sul lido e sul mare, chiede ai terei la scodella di rame, si spoglia d’ogni vestigia guerresca, e per sei giorni si mette alla pesca.


Cesare Bartoccioni, 5/6 luglio 2017

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