Capitolo sesto
KALOKAGATHIA
“Maledetta.”
Ermes, solo, nel giardino d’Olimpo, impaziente attendeva Ares all’appuntamento,
e rimuginava il colpo di mano che Afrodite gli aveva presentato in Epiro.
“Dannata… violatrice delle antiche regole divine… solo kalòs, altro che
agathòs… ma vedrai… ora ti anticipiamo noi!”
“Ahò, salve,
compare!” Ares, dal fondo del parco, era entrato con un gran saluto tendendo il
braccio destro in verticale. Ermes si volse a mezzo, guardandolo di sbieco.
“Che fai,
prendi le mosche?”
“Macché
mosche… è una nuova forma esteriore di rispetto, la sto provando per istruirvi
poi il mio popolo prediletto, caro mio, l’ho già individuato… gente che sta già
dimostrando de sapé pugnà senza farsi troppi scrupoli.”
“Beh… buon
pro ti faccia. Ma che mi dici del nostro Clas?”
“Ah,
tranquillo! Che ti credi? Non sia mai che nego al mio caro fratellino la
possibilità d’allungar le mani su cotanta beltade. È tutto organizzato, butta
un occhio, daje, guarda giù.”
Clas di Sparta di pattuglia, giù pei campi di
Tessaglia, era già in avanscoperta, lui e i suoi cento tutti all’erta. Con
gl’Iloti qual peltasti, cani a guardia dei lor fianchi, verso il passo del val
Tempe, vider polvere crescente, e rumore qual di tuono, chiaro e forte ippico
suono.
“In linea!” Gridò Clas, e un sol uomo i cento
furon, dory e oplon a far barriera, pronti i peltasti, allargati sui lati, coi
lor giavellotti già bilanciati.
Cinquanta al galoppo, corpetti di cuoio con
scaglie di bronzo, beoti sul capo, xyston alzato, a rombo rombavan.
“Hetairoi!” Giudicò
l’enomotarco, toccando Clas rispettoso sul braccio.
“Mo’ ce
fanno, eh? Mo’ vedi!!!” Ares, fregandosi i palmi, assaporava già la battaglia
imminente.
Ermes, gli
occhi socchiusi con fare dubbioso, scosse leggermente il capo.
“Ma… non so
se era il caso… mandargli contro addirittura l’elite macedone…”
Una pacca
sulla spalla della forte mano di Ares quasi slogò l’arto al postino olimpico.
“Ma che… Hai
paura? Caro mio, quei cinquanta cavalieri, contro la falange di Clas, non hanno
la minima possibilità! Gli spartiati li fanno a pezzi, loro e i cavalli,
vedrai!”
“Ma come hai
fatto a…” Ermes si fregò il mento, perplesso, poi si massaggiò la spalla
sinistra, dolorante.
“Ahò… più
facile di così! Ho buttato uno degli indovini de Serse giù per un fosso, e me
so’ vestito uguale, poi me so’ presentato dal re di Macedonia e gli ho predetto
che un suo discendente dallo stesso nome avrebbe governato un giorno il mondo
intero, ma che intanto se doveva occupà de la pattuglia spartana in arrivo.
Ahò, ha radunato subito i suoi.”
“Bravo,
fratellino, e sei pure contento?” Atena, entrata nel giardino, si ripulì le
mani dalla polvere di stelle. Aveva appena finito di completare il gran
cacciatore sulla volta celeste.
Ares si
voltò a mezzo, inarcando il sopracciglio.
“Embè? Che
è? Perché non dovrei?”
Atena sbuffò,
gli occhi di cielo ridenti.
“Tra tutte
le migliaia di ufficiali a seguito del pargolo, hai scelto proprio quello
giusto, non v’è che dire. Complimenti. Vi saluto, fratellini, ho ancora il toro
e le pleiadi da terminare.” Silenziosa com’era entrata, Atena svanì dall’etereo
cortile.
“Ahò, sempre
a rompe, quella, eh?” Ares tornò a concentrarsi sul piano, dove i cavalieri
erano quasi giunti sulla falange.
Solleva il braccio, Clas avanzando, scudo
abbassato con fare pacato. S’arresta il galoppo a poca distanza e un parafreno
regale montato tosto s’accosta, e ‘l cavalier, fiero nell’occhio, ridente
ammicca.
“Salute a te, lochagos di Sparta!”
“Onore a Alessandro, gran filelleno!”
Scende il macedone, e lo spartiate abbraccia.
“Che si racconta, dimmi suvvia, tra gli
achemenidi, oh brava spia.” Clas se la ride, e ride Alessandro, che avvolge
l’altro col rosso suo manto, con certo fare da cospiratore, che su in Olimpo
dipana l’orrore.
“Ma… Ma
che…” Ares, incredulo, s’alza di colpo.
Ermes, le
mani ai fianchi, lentamente muove il capo da sinistra a destra, sconfortato.
“Mi sa che Atena aveva ragione…”
“L’armata achemenide, o nobil di Sparta, è
immensa assai, oltre il Tempe ammassata.”
“Caro Alessandro, tu certo saprai, che noi i
nemici non li contiam mai, in questa valle noi li fermeremo, e l’Attica tutta
noi salveremo.”
“Così sarebbe, o mio generale, se sol da qui
potrebber passare, ma v’è una strada che aggira la valle, e già sul passo stan molti
di loro, andando veloci sul Sarantoporo.”
Clas rimase per qualche momento, in gran
pensiero lisciandosi il mento. Dall’occhio duro già si capiva, che v’era solo
un’alternativa.
Accennò Clas, tentennando il capo, e forte
pacca diede al sovrano, che salutò, dai suoi ritornò, e a ritroso qual venne
riandò.
Si volse Clas, al suo enomotarco,
e ordine diede d’invertir il passo.
“Si torna in Attica, ci ritiriamo, e credo
che molto sarà poi evacuato.”
“Ritiriamo? Ritiriamo!?”
Ares girava in tondo, incredulo. “Come ritiriamo? Li potevano fa’ a pezzi, li potevano!”
Ermes, afflitto,
ma con uno strano ghigno, posò dolcemente la mano sinistra sulla spalla destra del
fratellastro.
“Sta’ pur tranquillo.
Beh, dai, c’hai provato. Non potevi sapere che il re di Macedonia facesse il doppio
gioco…”
“Tranquillo?
Ahò, a me poi, alla fine, non è che… Ma a te? Sei tu che te la volevi…”
“Bah…” ghignò
Ermes, “ho un piano B.”
“Piano B? E che
sarebbe?”
“Sarebbe in realtà
il piano A!” Una voce squillante accompagnò l’ingresso nel giardino del bel giovane
con alloro in capo e cetra in mano. “A come Apollo, cari miei fratellini!”
Ares spostò lo
sguardo ora sul gemello di Artemide, ora sul pleiade pargolo. Non ci stava capendo
niente.
“Com’è andata
con la Pizia?” Ermes gettò le braccia al collo d’Apollo, che ricambiò con una fraterna
stretta.
“Più che bene.
Le sono appena entrato in sogno. Quando Maris si specchierà in quei begli occhi
neri, non avrà più scampo.”
Cesare Bartoccioni
6 agosto 2016
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