Capitolo undicesimo
HOI HÉLLENES
“Ma
guardali! Se so’ radunati ‘n’altra volta. Sempre a consulto, stanno. Ma annate
a combatte, annate!”
Ares,
ciondolando il capo con disprezzo, osserva dal giardino d’Olimpo la massa degli
arconti, dei polemarchi, dei tassiarchi,
degli strateghi e degli ipparchi riuniti di nuovo sull’Istmo di Corinto, al
tempio di Poseidone.
“Vedi,
fratellino, è questa la differenza fra me e te.” Atena, con una nuova tela
vergine stesa di fronte a sé, pensava già a quali altre costellazioni ricamare per la volta celeste. Senza neanche guardarlo, come a sottolineare la scarsa
opinione che ha di lui e delle sue facoltà belliche, apostrofa il grossolano
maleros con un tono di voce piatto e atonale. “Per me la guerra è un’arte. Per
te è solo un volgare bagno di sangue.”
“Embè?” Ares
fa spallucce. “Te pare poco? Ma qua, ancora, de bagni de sangue, a parte quej
elefanti…”
“Dai, abbi
un po’ di pazienza, tanto prima o poi…” Apollo era entrato da poco nel giardino,
sorridendo divertito agli scambi di convenevoli tra i pargoli di Era e Metide.
“Piuttosto, sentiamo che dicono… Mi pare che, da questi mortali, alla fine, ci
sia sempre qualcosa da imparare.”
“Gli achemenidi son giunti in Tessaglia, e
l’han già presa senza una battaglia, solo quel prode che di Clas ha nome, vince
dovunque il suo vessillo pone.” Guarda Temistocle fin all’orizzonte, lo sguardo
è serio ma è alta la fronte, tutte e trentuno le elleniche genti, serrano i
pugni e digrignano i denti.
“Contrattacchiamo!” Propone qualcuno, ma si
sa già che ‘l terreno è perduto.
“Noi non possiamo, neanche volendo,” dice
l’arconte guardando nel vento, “il grande oracolo l’avea predetto, che tutto
quanto da quel maledetto, perfino Atene lui avrebbe bruciato, e la Tessaglia
egli ha già conquistato.”
“Oste, pure
Atene?” Ares si volge verso il tenutario del tempio delfico. “La fai brucia’,
frate’?”
Apollo si
stringe nelle spalle, con una svogliata espressione burlesca sul volto.
“Che devo
dirti? T’ho detto che da questi mortali c’è sempre da imparare, soprattutto dal
furbo Temistocle…”
Cimone avanza con occhi allarmati: “Tessali,
Dolopi, Eniani e Tebani, Achei della Ftiotide e pure i Locresi, per non parlare
dei forti Perrebi, con altri tre gli si sono già arresi! Par che, Temistocle,
non ci siamo intesi.”
“Vedi, Cimone, noi qui siam elleni, e molti
di quelli che tu hai nominato son or costretti dal luogo e dal fato, ma ti dirò
che la nostra riscossa scalderà il sangue e raddrizzerà l’ossa, e chi dei Medi
continua nell’egida, stai pur sicuro pagherà la decima.” Scruta Temistocle
tutti gli astanti, delle trentuno tribù i comandanti e i Lacedemoni al suono di
‘elleni’ batton gli scudi rizzando i cimieri. Dal patriottismo così contagiati,
son per la guerra decisi e giurati. Ride Temistocle ben soddisfatto, ché
l’alleanza l’ha resa ormai un fatto, e senza perdere un solo momento, con gli
strateghi decide al contempo, di rallentare il persiano brigante presso lo
stretto delle porte calde.
“A me l’onore, oh caro mio arconte!” S’offre
Leonida toccandosi in fronte. “Noi tra il Callidromo e il golfo Maiaco, terremo
a freno quel gran forsennato.”
“Scegli chi vuoi, o re nobile e grande!” Sente
Temistocle l’anima in fiamme di fronte a chi ha già potuto apprezzare e che sa
già che non può ritornare.
“Porterò solo, a Carnee terminate, tre
centinaia dell’arme spartiate, quelli ch’han figli la cui discendenza possa
seguir ricordando le gesta. E appena Clas volge dalla Tessaglia, egli pur
voglio per questa battaglia.”
Con gran trasporto l’elleniche genti offrono
anch’esse dei lor contingenti, le braccia arcade ed i fieri tespiesi, e quei
tebani che non si so’ arresi, poi i focidesi che, naturalmente, sanno i
sentieri di quelle lor terre e che non vogliono ai rudi persiani lasciar le donne
ed i loro bestiami; e finalmente quei locridi opunzi che all’achemenide non si
son giunti.
“Aho’! Ce
fanno, ce… ce fanno!” Ares si frega le mani, già pregustando la battaglia
imminente. “E poi quel re de Sparta, ah! Che eroe. Va contento alla guerra e alla
morte. Degno della mia protezione, assolutamente!”
“Eh già…”
Apollo, con fare noncurante, si esamina le unghie della mano destra.
Da moltitudini viene osannato, Leonida agiade
d’Eracle nato, che a quell’oracolo delfico pensa, quando predetta avea già la sua
gesta: ‘A voi spartani dalle larghe piazze’, avea la Pizia tuonato all’istante,
‘quei di Perseo vi daranno alle fiamme, oppure no però vi salverete, d’Eraclea stirpe
se un re piangerete.’
Atena, il cui
ago di stelle aveva già iniziato a comporre, di subitanea ispirazione, la costellazione
di colui che la gloriosa stirpe di Leonida aveva iniziato, sorride sardonica fra
sé e sé: “Bene… Ora speriamo solo che il prode Maris torni in tempo… Altrimenti
addio scommessa.”
Cesare Bartoccioni, 10/17 luglio 2017
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