Il "Natale" - spionaggio

...dei tempi della Guerra Fredda... sicuri che sia finita?

IL “NATALE”

Era un laboratorio comune, come tanti altri. Chiunque fosse entrato, dal più esperto dei biologi al più sprovveduto degli analfabeti, avrebbe ricevuto la stessa sensazione di pulizia e ordine che si prova entrando in un qualsiasi laboratorio universitario. Vi erano lindi banconi, lucidi lavandini, rubinetti per l’acqua e per il gas, un armadietto pieno di provette, ampolle, microscopi e decine di altre attrezzature per studiare campioni animali e vegetali.
Oltre a un discreto gruppo di studenti ed insegnanti, avevano accesso al laboratorio quattro biologi che si occupavano esclusivamente di ricerche in campo virale. Non c’era di che stupirsi, quindi, che durante i loro esperimenti non fosse permesso a nessuno di entrare.
Michael non sapeva di chi fosse stata l’idea di trasferire il suo gruppo in un’università, invece di continuare a servirsi dei soliti stabilimenti segreti in cui, normalmente, venivano portati avanti esperimenti simili; sapeva soltanto che era stata un’idea pessima: se fosse successo qualcosa...
-    Vedi, Michael, in questi ultimi tempi abbiamo registrato un aumento di... interesse della concorrenza nei riguardi dei nostri prodotti –
Karl aveva lo stesso tono di sempre; sarebbe stato capace di parlare della fine del mondo, imminente, allo stesso modo in cui ordinava una birra al bar. Cercava di non sbilanciarsi mai, e si doveva interpretare ciò che diceva: “la concorrenza” erano i sovietici, e “i nostri prodotti” erano quei virus schifosi per la guerra batteriologica.
-    e così hanno deciso di mandarvi tutti all’università; sarete contenti di rivivere la vostra giovinezza.
Era un’incoscienza, ma era facile da capire: una semplice università, senza nessun serio sistema di sicurezza, era l’ultimo posto dove sviluppare l’ultimo stadio di un virus ‘militare’. Nessuno avrebbe ficcanasato.
Michael entrò nel laboratorio, quella mattina di febbraio, chiedendosi, come ogni mattina, perché diavolo era entrato a far parte di quel gruppo di pazzoidi che salutavano la nascita di un nuovo virus come se fosse il Natale, e, come ogni mattina, non trovando la risposta.
Il “Natale” era stato festeggiato il giorno prima. Il virus era stato sintetizzato, ed era proprio un diavolo di virus: dopo cinque minuti dalla sua immissione nell’aria il contagio era assicurato. Il contenuto di una fialetta bastava ad infettare dieci chilometri quadrati: tosse, pustole giallo-verdi, febbre alta, morte sicura dopo cinque ore dall'infezione. Ogni persona, ogni oggetto, ogni vegetale, ogni animale era un tremendo veicolo di diffusione: una fialetta bastava a distruggere il mondo; con il freddo il virus era perfettamente a suo agio e niente, nemmeno l’oceano, l’avrebbe fermato.
Per questo, quella mattina di febbraio, Michael entrò nel laboratorio: dovevano iniziare a sperimentare un vaccino.
-    Sempre puntuale, eh, Michael?
-    Ciao, Henry.
Henry era forse la persona più antipatica che Michael avesse conosciuto. Si stava bevendo un caffè e Michael sperò che gli andasse di traverso.
-    Hai qualche idea?
-    Come, scusa?
-    Ehi, Michael, stai ancora dormendo o cosa? Lo sai, no? Il vaccino!
-    Ah, no. Non ancora. Dovremo iniziare a studiarci oggi, Henry; proveremo il virus sulle cavie e poi... beh, le solite cose, insomma.
-    Lo vado a prendere.
Il virus era custodito in una cassetta di metallo dentro la cassaforte incassata nel muro dietro l’ultimo banco del laboratorio.
Solo tre persone erano a conoscenza della combinazione: Michael, Henry e, per ogni evenienza, Karl.
Michael si rese conto che qualcosa non andava solo molti secondi dopo aver udito l’imprecazione (la bestemmia) di Henry.
-    L’inserviente! Chiamate l’inserviente!
-    Che è successo, Henry?
-    La cassetta... non c’è più la cassetta!
L’inserviente arrivò due minuti più tardi.
-    È entrato qualcuno qui, stamattina, prima di noi?
Il tono di Michael era calmo.
-    Beh, ecco... stamattina è venuto quel vostro amico... come si chiama? Quello con le basette lunghe...
Era Karl.
-    Ha detto che aveva lasciato i guanti in laboratorio e, dato che aveva il pass...
Michael si precipitò al telefono, fece il numero di Karl, aspettò il trentesimo squillo, riattaccò, rifece il numero, cinquanta squilli, niente.
Due giorni dopo Michael venne a sapere da un superiore che Karl era un ‘rosso’, che era stato scoperto e che era scappato portando in Russia il “prodotto”.
Ora era lui al posto di Karl e doveva darsi da fare per trovare il vaccino nel più breve tempo possibile. Già, perché c’era una cosa che Karl non sapeva, e che nessuno sapeva fino al giorno prima: quel virus, riproducendosi, produceva sostanze chimiche in grado di sciogliere il piombo, e la cassetta in cui era contenuto e che Karl aveva rubato era appunto di piombo.
Una settimana più tardi Michael si sedette nella poltrona di fronte al televisore di casa sua. Il bicchiere di Whisky che teneva in mano gli cadde quando il notiziario accennò ad un’epidemia scoppiata a Mosca caratterizzata da tosse, strani foruncoli giallo-verdi, febbre alta.
-    Le autorità sanitarie dell’Unione Sovietica ritengono che si tratti di una normale influenza leggermente più potente del solito, ed affermano che non c’è di che preoccuparsi – stava dicendo il giornalista.
Il vaccino era ancora lontano.


Cesare Bartoccioni
15 novembre 1991

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