Il viaggo d'Ulisse - rivisitazione in endecasillabi

IL VIAGGIO D'ULISSE
rivisitazione in endecasillabi


Io lo sapevo che stavo vent'anni
Lontan da casa tra perigli e affanni
Mi s'era detto già fino alla noia
"Tienti lontano dal mare e da Troia"
Feci pazzie misi tutto a scompiglio
M'arresi solo alla fine credete
Quando mi misero al vomere il figlio
Però pagò il conto poi Palamede
Presto l'assedio alle mura possenti
Fu guerra senza né vinti o vincenti
E per risolvere quindi lo stallo
M'inventai il trucco del ligneo cavallo
Beh tutto il resto voi già lo sapete
Di raccontarlo non faccio pretese
Solo mi preme qualcosa chiarire
Ché negli scritti san solo mentire
Quando ad Ismara facemmo bottino
Noi volevamo soltanto del vino
Quella gentaglia fu avida e mesta
Sì da scacciarci nel mare in tempesta
Finimmo quindi alla terra del loto
Dove l'oblio noi rischiammo non poco
D'Ismara il nettare poi a Polifemo
Feci assaggiare con gesto sincero
Non fu mia colpa se diventò scemo
Non lo sapevo che fosse un astemio
Ora va in giro col palo nell'occhio
Da Poseidone or chiamato Nettuno
E se gli chiedi "chi è stato?" beh è ovvio
Naturalmente risponde "nessuno!"
Avendo quindi quel vino finito
N'ottenni un otre da un luogo vicino
Quando l'aprimmo non v'erano dentro
Se non tempesta burrasca e gran vento
Dal vignaiolo tornai a reclamare
Sbuffando disse: "son Eolo, puoi andare!"
Rimessi in mare su per tramontana
Dietro le spalle lasciammo giù Lipari
E pei peccati della carne umana
Finimmo in bocca davvero ai cannibali
Li conoscete son essi i Lestrìgoni
E a me rimase un sol pugno d'epigoni
Che si credetter da spiedo scampati
Fin quando Circe li rese maiali
Lì mi salvai grazie all'erba divina
Ch'Ermes nascosto portò di mattina
Mi disse Circe di tornar per mare
Ma di far prima un giretto nell'Ade
Dove Tiresia quel grande indovino
A me predisse senz'altro il destino
Tra mucche sacre ed insipidi piatti
Remi piantati lontano da casa
Le sue parole divenner poi fatti
E qui giù in fondo vi svelo la saga
I miei compagni per nulla felici
D'essere stati dei veri baghini
Beh mi legarono in mezzo alle vele
Per torturarmi col suon di sirene
Solo riottenni i miei pieni diritti
Quando con grande perizia marina
Passai da Zancle ch'adesso è Messina
Salvo da Scilla e persin da Cariddi
Stanchi e affamati in Trinacria finiti
Furono tosto a riempirci le panze
Sode invitanti incantevoli manze
Poi di Tiresia rammentai gli avvisi
Erano quelle le sacre del Sole
Care l'avremmo pagate le bove
Di nuovo in mare perirono tutti
Solo rimasi sbattuto dai flutti
Dal bagnasciuga abbattuto e sconfitto
Mi trasse in salvo la bella Calipso
Ella mi tenne con sé per ott'anni
Tempo di cui non potei lamentarmi
Ma la Penelope mia m'aspettava
Lei che in silenzio filava e sfilava
Ed all'offerta d'immortalità
Rinunziai senza nessun pensamento
Avrei perduto la mia umanità
Scambiata per infinito tormento
Quel folle volo doveva finire
Era il momento ormai di ripartire
Approfittando gli dei dell'assenza
Dell'Enosigeo nemico mio estremo
Ch'ancor m'accusa con tanta insistenza
Pel figlio sbronzo quel suo Polifemo
Votaron tutti per il mio ritorno
Salutai quindi Calipso e il suo mondo
Ma 'l dio dell'acqua vedendomi in mare
Naturalmente mi fe' naufragare
Fu dai Feaci ch'ottenni assistenza
Itaca vidi dopo tanta assenza
Trovai la moglie dai proci assediata
"Dove sei stato?" mi chiese seccata
Iniziai a dirle che quel dio del mare...
"Non voglio scuse! Ora datti da fare!
La casa è piena di quei pretendenti
Or sei tu l'oste, va' a farli contenti!"
Io ch'ero stanco da quell'odissea
Con poca voglia di star a parlare
Guardai morente il mio cane il mio Argo
Allungai il braccio a riprendermi l'arco
E, com'è scritto, poi feci la strage
Coi buoni auspici d'Atena la dea
D'Itaca ormai n'ero il re incontrastato
Nessuno più lì m'avrebbe sfidato
Ma quei vent'anni girati pel mondo
M'avean segnato fin giù nel profondo
Sol mi restava nel tedio morire
Senza una nuova frontiera scoprire
Lasciai a Telemaco l'isola e il trono
Quindi a Penelope chiesi perdono
E una mattina al chiaror dell'aurora
Verso l'ignoto puntai la mia prora
Fu quella volta con me Poseidone
Ché fu per lui, gli diss'io, la missione
Giunto alla costa sull'un de' due liti
Arsi la pentecontera sui lidi
E quindi armato soltanto d'un remo
Verso l'interno mi misi sereno
Fui in un villaggio ai bei piedi d'un monte
In una valle con fiumi e con fronde
Dove m'offrirono un pezzo di pane
Senza nemmeno un granello di sale
Quindi un viandante bambinesco e glabro
Chiese perché stavo col ventilabro
Ivi piantai dunque remo e allegrezza
Quel che seguì fu serena vecchiezza

Cesare Bartoccioni, 2 / 4 febbraio 2017

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