La collina - fantasy

Racconto di un sogno, avuto di notte, scritto di mattina.

LA COLLINA

Inspirò a fondo l’aria fresca del primo mattino. Un senso di purezza pervase il suo corpo e il suo spirito.
Kenjo amava passeggiare al blando calore del primo sole di primavera, quando l’odore dei fiori appena sbocciati inebriava la mente e portava il messaggio degli Dei, il racconto degli Eroi e delle loro battaglie.
Era la storia di un mondo perduto, remoto, che non sarebbe più tornato, ma il cui ricordo era ancora vivo nella memoria degli uomini, e lo sarebbe stato per sempre.
Kenjo prese il sentiero che prendeva di solito, nonostante gli ammonimenti di sua madre. Era un groviglio quasi inestricabile di erbacce, radici e piante selvatiche, perché nessuno ci passava mai.
Kenjo seguitò a camminare, attraverso cupi boschetti e aperte radure, finché arrivò ai piedi di una strana collina.
Era un perfetto tronco di cono: il fianco saliva ripidissimo e la sommità era piatta, come se un gigantesco samurai, con un terribile fendente, avesse fatto saltar via la punta.
Gli abitanti del villaggio di Kenjo credevano che quella collina fosse stregata, maledetta. Si pensava che sulla sua sommità vi fosse qualcosa di terribile. Si raccontava che nessuno, di quelli che vi erano andati, era mai tornato.
Kenjo si era trovato ai piedi della collina decine di volte. Sua madre lo rimproverava sempre, ma la curiosità aveva la meglio su di lui.
-    Hai appena quattordici anni, non le puoi sapere certe cose. Sappi, però, che sette persone di questo villaggio sono già scomparse sulla collina. Vuoi fare la stessa fine?
Sua madre gli ripeteva questo ritornello ogni volta che lui tornava dal sentiero, e Kenjo prometteva, ogni volta, che non ci sarebbe più andato.
Ora Kenjo si trovava di nuovo lì, di fronte alla maestosa collina, e decise che era giunto il momento.
Iniziò a inerpicarsi sul ripido fianco con una foga esagerata, tanto che dovette fermarsi a riprendere fiato dopo soli cinquanta metri di salita.
Guardò in alto e vide la sommità ancora lontana. Iniziò a procedere lentamente.
Il sole era ben alto nel cielo quando si fermò di nuovo. Aveva percorso i due terzi della salita, tanto ripida che Kenjo ansimava e sudava enormemente. Era però un ragazzo previdente; si era portato, come faceva sempre, un fagotto con qualcosa da mangiare. Prima non era mai servito, perché non aveva mai avuto il coraggio di affrontare la collina, ma ora...
Mangiò avidamente tutto il cibo, e bevve tutta l’acqua che aveva in un otre, poi continuò la salita.
Giunse sulla sommità della collina poco prima del tramonto.
La parte esterna della vetta era come un crinale che si affacciava su di un burrone. La punta della collina non era piatta, ma scavata. In fondo al burrone Kenjo vide una enorme pianura spoglia, senza altra cosa che erba.
Era questa, dunque, la collina stregata? Era per questo che Kenjo aveva sudato sette camicie?
Kenjo si sedette, sconfortato ed arrabbiato. Il sole stava tramontando e lui era stanco. Sarebbe tornato a casa il mattino seguente.
Si sdraiò sulla dura terra e si addormentò.

Odore di sangue e sudore... rumore di acciaio contro acciaio... grida di battaglia...
Kenjo si svegliò di soprassalto. Sentiva grida confuse, rumori antichi. Si rese conto che non stava sognando. Si affacciò sul crinale, guardò giù verso il burrone e...
Era uno spettacolo maestoso: il fianco della collina che scendeva fino alla pianura interna era ricoperto di fiori di tutti i colori; in fondo, sulla sinistra, si ergeva un maestoso castello; sulla destra vi era un palazzo di legno. Da entrambe queste costruzioni partivano fanti e cavalieri, bardati con le insegne dei loro signori, e andavano a scontrarsi in una piccola pianura al centro; dietro il campo di battaglia c’era un lago, sulle rive del quale era costruito un meraviglioso villaggio di pescatori.
Il contrasto tra la frenesia della lotta e la calma del lago affascinava e colpiva Kenjo, che non sapeva darsi una spiegazione di cosa fosse successo.
Ad un certo punto si sentì attratto verso il fondo del burrone contro la sua volontà. Cercò di resistere ma non ci riuscì. Cominciò a correre e mentre correva si accorse di avere addosso un’armatura, proprio come quelle dei fanti che vedeva battersi laggiù.
Raggiunse il campo di battaglia e sguainò la sciabola.

Nessuno lo rivide più.


Cesare Bartoccioni
28 febbraio 1992

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