La crociera - grottesco

Racconto un po' fatalista...

LA CROCIERA

Il fuoco dei raggi del sole al tramonto e la calma dell’oceano producevano un contrasto che dava meraviglia e un profondo senso di quiete.
David era contento, in quel momento, di aver dato ascolto a sua cugina: “Devi uscire da questo buco di città, devi svagarti, divertirti, non puoi star sempre a pensare alle stesse cose!”. E così aveva deciso. Si era preso un mese di ferie, aveva salutato i colleghi della “E. U. Iron Company” e se ne era andato in crociera.
La nave era partita da San Francisco dieci giorni prima, aveva fatto scalo alle Hawaii e ora si stava dirigendo verso il Giappone. David se ne stava a poppa, appoggiato alla ringhiera di protezione, in quella bellissima serata.
Era un uomo qualunque, un semplice impiegato, con un passato senza grandi eventi ed un presente senza grandi prospettive per il futuro. Aveva quarant’anni, avrebbe continuato a lavorare per la compagnia e tra una cosa e l’altra si sarebbe trascinato fino alla pensione.
Questo pensiero lo rattristava, ma ormai si era rassegnato. Inspirò profondamente e scese in cabina.
Allungò la mano verso la maniglia della sua porta e sentì un gran dolore alla testa.
Si risvegliò in fondo al corridoio. La nave aveva una strana inclinazione: le porte delle cabine erano al posto del soffitto o come diavolo si chiamasse in una nave.
C’era del fumo, molto fumo. David si tirò su a fatica e si diresse, camminando su quella che prima era la parete e arrampicandosi a forza per passare attraverso le porte, che ora erano diventate abbaini, verso il punto dove pensava vi fosse la tolda della nave.
Quando finalmente uscì allo scoperto si accorse di una cosa terribile. C’era stata, a giudicare dalle condizioni della chiglia, un’esplosione nelle caldaie. Il luogo dove era stata allestita la sala da pranzo non esisteva più, era stato investito in pieno dallo scoppio.
David non si era sentito molto bene la sera prima, e aveva deciso di non cenare. Poiché a pranzo e a cena veniva inserito il pilota automatico e tutto l’equipaggio mangiava insieme ai passeggeri, e poiché David era stato l’unico a non cenare, non c’era che una verità: David era l’unico superstite.
La situazione lo avrebbe dovuto spaventare, invece gli provocò una sensazione quasi piacevole: David Jones, da semplice impiegato a novello Robinson Crusoe. Ecco qualcosa da raccontare ai nipotini, un giorno.
Si aggrappò ad una cima e si calò, dato che la tolda era ora in verticale, fino ad una scialuppa. Armeggiò un po’ con l’argano che teneva la scialuppa sospesa finché questa non cadde in acqua con un tonfo sordo.
David stette un momento a pensare, poi si tuffò. Con molte, faticose bracciate raggiunse la scialuppa, sollevò il telo che la ricopriva e si intrufolò dentro. Svenne.
Gli ci volle un po’ di tempo, quando si risvegliò, per capire, o ricordare, dove si trovava. Si sollevò sui gomiti e si guardò intorno. Il mare era liscio come l’olio, il sole era alto nel cielo, una dolce brezza ne alleviava il cocente calore.
Era solo, solo nell’immensità marina. Non c’era nessun segno della nave da crociera; evidentemente, si accorse con una stretta allo stomaco, si era allontanato molto dal luogo del naufragio.
Cominciò a valutare le sue risorse. Nella scialuppa c’erano dei viveri che forse sarebbero bastati per una settimana o poco più, un lanciarazzi, un salvagente. C’erano naturalmente due remi, ma David decise di non farne uso. Non si sarebbe spezzato la schiena per remare verso chissà dove, senza bussola né carte nautiche. Decise di affidarsi alla corrente e alla fortuna; forse avrebbe incontrato qualche nave di passaggio, o avrebbe potuto approdare da qualche parte. Nel caso in cui avesse avvistato un lembo di terra avrebbe potuto far uso dei remi e delle energie risparmiate.
Si coprì con il telo impermeabile che proteggeva la scialuppa e da quel momento, per cinque, interminabili giorni, divise il suo tempo tra il riposo, per consumare meno energia e quindi meno viveri, la consumazione di cibo e acqua dolce e lo scrutamento dell’orizzonte.
La mattina del sesto giorno, quando ormai non gli era rimasto gran che da mangiare, avvistò una sottile linea grigio-scura dritto davanti a sé.
“Terra”, pensò, “terra, finalmente!”. Prese affannosamente i remi, li infilò nelle forcelle e iniziò a remare verso quella che pensava, anzi che sperava, essere la sua salvezza.
L’impresa si rivelò più difficile del previsto. La lingua di terra era ancora lontana e David, il risparmiatore di energie, era esausto. Si sdraiò sulla scialuppa e cadde addormentato.
Un forte scossone lo destò di soprassalto. Alzò la testa e si accorse che la scialuppa si era incagliata su uno strato di roccia. Il sole stava tramontando ma c’era ancora abbastanza luce da poter vedere ciò che c’era intorno.
David vide l’inferno. Non sapeva se si trattava della striscia di terra avvistata quella mattina o di qualcos’altro, ma di sicuro era qualcosa di spaventoso. La scialuppa era finita su delle rocce che facevano parte di una specie di anello, con il mare all’esterno e al centro, ma non si trattava di un atollo corallino o qualcosa del genere. L’acqua all’interno bolliva, e il vapore aveva uno strano odore pungente e fastidioso. Le rocce avevano un colore nerastro. Il calore era enorme, non si riusciva quasi a respirare.
Improvvisamente David si rese conto di che cosa si trattava: era un vulcano, un vulcano in piena attività; David si trovava sulla bocca di un vulcano a livello del mare e, per quanto piccolo potesse essere, era sempre una brutta bestia pericolosa.
Fece per spingere la scialuppa in acqua e prendere il largo alla massima velocità, ma proprio in quel momento il vulcano esplose.


Cesare Bartoccioni
3 aprile 1992

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