La missione - orrore

I vampiri... non potevano mancare...

LA MISSIONE

Il castello era costruito su di un promontorio, anzi, vi era arroccato. Tre lati di esso davano sul mare, e tra il castello e l’acqua c’era una scogliera dove neanche gli uccelli nidificavano. Il quarto lato dava su una stretta stradina che, attraverso una foresta, portava ad un piccolo villaggio di pescatori.
Dal limitare della foresta, in quel giorno di pioggia e vento, Mateus stava guardando il grande portone di bronzo del maniero. Aveva una missione da compiere, una missione tramandata di padre in figlio.
La sua famiglia, fin dalla notte dei tempi, si occupava di eliminare quelli che comunemente vengono chiamati vampiri. Il signore di quel castello era appunto l’ultimo discendente di una famiglia di vampiri che aveva terrorizzato, per secoli, quei luoghi dimenticati da Dio.
Dovete sapere, infatti, che i vampiri, contrariamente a ciò che si dice, non sono esseri ‘non morti’, ma semplicemente appartenenti ad una delle numerose razze della specie umana.
Fortunatamente per noi uomini che non viviamo materialmente (anche se a volte metaforicamente sì) del sangue di altri uomini, i cosiddetti vampiri sono poco numerosi. Mateus era uno di quelli che contribuiscono a renderli ancor più rari.
Mateus sapeva che per uccidere un vampiro non ci voleva niente di più di un semplice coltello; qualsiasi cosa che andasse bene per uccidere un uomo comune sarebbe andata bene anche per un vampiro, che in fondo non era che un uomo.
Ma Mateus sapeva anche che la maggior parte della gente non avrebbe accettato la scusa di un vampiro (a cui non credeva quasi nessuno) per giustificare un omicidio. Doveva quindi simulare un incidente, proprio come aveva fatto con gli altri cinque vampiri che aveva ucciso in altri paesi.
Si avviò verso il portone. Quando fu sotto batté due volte con il batocchio. Dovette aspettare cinque buoni minuti prima che gli venisse aperto.
Un vecchio con capelli bianchi sulla nuca e una pelle che sembrava aver conosciuto tutte le malattie del mondo lo squadrò.
-    Desidera?
Aveva una voce bassa e roca; a sentirla di notte senza preavviso l’infarto era assicurato.
-    Vorrei parlare con il Barone. Affari.
-    Il Barone non mi ha detto niente. E poi ora sta riposando.
La pioggia continuava a cadere. Il vecchio sembrava non rendersene conto.
-    Il Barone non sa che sono qui. L’affare che devo proporgli però è di grande importanza. Senta... non potrebbe farmi entrare? Ho già fatto un bagno stamattina...
-    Già... la pioggia... venga.
Mateus venne accompagnato dentro il castello, fino ad un salone ampio e freddo.
-    Attenda, prego.
Mateus si guardò intorno. I grandi quadri alle pareti raffiguravano gli antenati del Barone; ce n’era uno con la data 1120, esattamente seicento anni prima che Mateus entrasse nel castello.
Le armature medievali appese alle pareti e le enormi ragnatele contribuivano all’atmosfera spettrale e terribile della stanza.
-    Venga. Il Barone la riceverà.
Il vecchio era apparso senza che Mateus se ne rendesse conto. Lo accompagnò, attraverso un corridoio, ad un altro salone. Anche questo era ampio, ma non freddo, grazie ad un fuoco che ardeva in un grande camino nella parete opposta alla porta. Davanti al camino vi erano due poltrone. In una di esse, voltato verso il fuoco, c’era il Barone.
-    Venga, si accomodi pure.
La sua voce era cordiale, rassicurante. Come quella, del resto, di tutti i vampiri incontrati da Mateus.
-    Grazie.
Si sedette nella poltrona davanti al fuoco, vicino al Barone.
-    E così lei vorrebbe propormi un affare, signor...
-    Mi chiami Mateus.
-    Uno strano nome... mi ricorda qualcosa...
-    Spero qualcosa di bello.
-    Mmh... mi parli dell’affare.
-    È presto detto, Barone. Un Marchese francese vorrebbe comprare un castello da queste parti. Io sono il suo emissario e sono venuto a sapere di questo castello. L’offerta è vantaggiosa, il Marchese non bada a spese e...
-    Non se ne parla nemmeno, il castello non è in vendita.
-    Ma se volesse lasciarmi contin...
-    Ho detto che non se ne parla.
-    È la sua ultima parola?
-    Ho una sola parola, io.
-    Bene... in questo caso non mi resta che scusarmi e...
-    Non vorrà ripartire subito?! Infuria un temporale ed è quasi notte, ormai. Spero che acconsenta ad essere mio ospite per questa notte.
Le cose stavano prendendo la piega giusta.
-    Beh... non vorrei disturbare.
-    Dirò al mio servo di prepararle una camera. Prima però ceneremo.
Era fatta. A Mateus non importava se il Barone si era bevuto la storiella dell’affare. Ciò che contava era che potesse restare lì abbastanza da provocare un incidente mortale.
Mateus e il Barone cenarono insieme. Poi, dopo alcune chiacchiere, andarono a dormire.
Mateus entrò nella grande stanza da letto. Dopo la buonanotte del vecchio che lo aveva accompagnato (e che sembrava più che una buonanotte un eterno riposo) si svestì, si sdraiò nel letto e, dopo aver infilato uno stiletto (ne aveva quattro, nascosti in varie parti del corpo), per ogni evenienza, sotto il cuscino, si mise a pensare al suo piano.
Non doveva essere troppo difficile. La mattina seguente avrebbe chiesto al Barone di poter visitare la cantina. Il Barone, come padrone di casa, lo avrebbe preceduto. A quel punto sarebbe bastata una botta secca al collo, si sarebbe spezzato l’osso, Mateus avrebbe spinto il Barone giù per le scale e chiunque avrebbe creduto ad un incidente.
Si addormentò, sognando i volti di tutti i vampiri che aveva fatto fuori fino a quel momento.
La mattina dopo si svegliò presto. Si vestì e scese dabbasso. Il Barone non si era ancora alzato. Il vecchio stava ordinando la tavola per la colazione. Chissà se sarebbe stato un problema?
-    Il Barone ha detto che non deve aspettarlo per iniziare la colazione. La raggiungerà più tardi. Io devo andare giù in paese.
In paese! Perfetto.
Il vecchio se ne andò, e Mateus iniziò a mangiare.
Era già giunto a metà colazione quando gli apparve di fronte il Barone.
-    Buongiorno. Dormito bene?
-    Benissimo, Barone, grazie.
Fecero colazione insieme. Poi Mateus iniziò a tessere la sua tela.
-    Il vino che ho assaggiato ieri era veramente squisito, Barone. Un’annata speciale?
-    1645, settantacinque anni fa.
-    Sul serio? Sono strabiliato.
-    Oh, ne ho di molti tipi e molto antichi.
-    Sarei curioso di vederli... se non chiedo troppo, naturalmente.
-    Sarò felice di mostrarglieli, Mateus.
Il tono con cui pronunciò il suo nome lo fece rabbrividire. Ma forse era solo un’impressione. Il piano stava procedendo a meraviglia.
Si avviarono verso una scalinata che dava ai sotterranei. Il Barone era davanti, a circa mezzo metro da Mateus. Quando arrivarono sul bordo della scalinata Mateus decise che era giunto il momento.
Mateus non si rese ben conto di ciò che stava accadendo. Il Barone lo afferrò per un braccio e lo scaraventò giù. Arrivato sul pianerottolo Mateus vide il vecchio con qualcosa nelle mani. Ma non era andato in paese?
Mateus si risvegliò ore dopo in una stanzetta buia, fetida e fredda. Gli faceva male la testa. Era confuso, non riusciva neanche a provare a pensare.
Il Barone andò a fargli visita poco tempo dopo. Aprì la porta, entrò e la richiuse. Il vecchio stava di guardia fuori dalla stanza.
-    Come si sente? Mi dispiace aver dovuto farla colpire. Odio la violenza.
-    Perché sono qui?
-    Suvvia, Mateus, basta con la commedia. Crede davvero di aver a che fare con uno stupido?
-    Ma... come...
-    Come ho fatto a capire chi fosse lei? È stato lei stesso a tradirsi. La balla del Marchese francese non era delle migliori, ma questo poteva anche passare, se non mi avesse detto il suo nome.
-    Il mio... nome?
-    Già. Lo stesso nome di suo nonno, vero?
-    Sì. Ma come fa a...
-    Come faccio a saperlo? Suo nonno tentò, senza riuscirci, di assassinare il mio. Mio nonno me ne parlò, molti anni fa, e mi parlò anche della sua famiglia di matti che va in giro ad uccidere quelli della mia razza. È stato quando ho sentito il suo nome che mi sono insospettito. Poi il mio servo l’ha vista mettere un pugnale sotto il cuscino, stanotte, da uno spioncino.
-    Mi avete spiato?!
-    La prudenza non è mai troppa, Mateus, ne converrà. Poi abbiamo avuto la conferma delle sue poco salutari intenzioni poco fa, quando l’abbiamo perquisita dopo averla colpita.
-    Mi avete perquisito?!
-    Ma lei è monotono, Mateus. Piuttosto, non si vergogna ad andare in giro con tre pugnali, come un volgare bandito?
Tre pugnali! Aveva detto tre pugnali. Questo significava che Mateus ne aveva ancora uno.
-    Beh, si consoli. Avrà l’onore di essere la mia speciale riserva. Di sangue, naturalmente.
Il Barone scoppiò in una risata. Poi se ne andò. Mateus lo sentì ordinare al vecchio di restare a guardia della cella.
Mateus cercò di riprendere il completo controllo di sé. Si frugò nei punti dove aveva nascosto gli stiletti alla ricerca del quarto. Lo trovò nello stivale. Decise che non poteva più simulare un incidente. Avrebbe ucciso il Barone e il vecchio e se ne sarebbe scappato via. Lo avrebbero ricercato, questo è vero, ma come alternativa alla morte gli andava benissimo.
Iniziò a lamentarsi prima lievemente, poi sempre più rumorosamente. Sentì i passi del vecchio che correvano verso l’alto. Poco dopo il volto del Barone si affacciò sulla porta.
-    Mateus, la finisca con i suoi trucchi.
Mateus si voltò verso il Barone. Un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca.
-    Dentro, presto.
Il vecchio entrò più in fretta che poté, si chinò su Mateus, Mateus si girò di scatto e gli piantò il pugnale tra le costole. Fu velocissimo. Si liberò del corpo del vecchio e si precipitò, con il sangue che gli usciva di bocca,  verso il Barone. Questo era come immobilizzato. Mateus gli fu addosso, lo prese per i capelli e gli tagliò la gola da orecchia a orecchia, corse su per le scale e in un attimo fu fuori del castello, in fuga.
Gli era costato molto dolore staccarsi con i denti un pezzetto di lingua, ma ne era valsa la pena. Sapeva che i vampiri avevano i riflessi rallentati dalla vista del sangue, glielo aveva detto suo nonno Mateus.
Eravamo a sei, quindi. Ed ora Mateus stava andando in cerca del settimo. Era una missione.


Cesare Bartoccioni
18 dicembre 1991

Nessun commento:

Posta un commento