La speleologa - fantascienza

...dal Monte Nerone a Betelgeuse... solo andata?

LA SPELEOLOGA

Nessuno, che avesse guardato le sue mani, così dolci e delicate, avrebbe mai immaginato il suo lavoro. Erano mani che avrebbero potuto filare la seta più soffice, preparare il più delicato dei cibi, o dare al più esigente degli amanti sensazioni incredibili di tenerezza.
Quelle mani, all’apparenza fragili, potevano invece maneggiare un piccone o un altro attrezzo simile per scavare nella roccia più dura, con maggiore forza e perizia di un minatore del Sussex.
Gioia si incamminò quella mattina su per le pendici del Monte Nero. Era una speleologa, e voleva esplorare una parete rocciosa a strapiombo sul mare, una parete tanto bella quanto impressionante, dove il piede umano non si era mai posato, e dove gli unici esseri viventi presenti erano i gabbiani che avevano trovato un luogo sicuro dove nidificare.
Passò per il piccolo paesino alle pendici del Nero, per salutare un ex compagno di lavoro, il quale aveva abbandonato la roccia per dedicarsi ad un’altra passione: le stelle, l’astronomia.
Si era fermata a casa sua giusto il tempo di fare quattro chiacchiere e di assaggiare un nuovo dolce cucinato dal suo amico.
-    Allora, Augusto, come va il tuo nuovo lavoro?
Augusto appoggiò la tazzina di caffè. Il caffè lo aveva lasciato fare a Gioia; non sapeva perché, ma a lei veniva divino. Mentre si preparava a rispondere, non poté non notare, come sempre, la delicata bellezza della sua amica.
-    È molto interessante, mi sono reso conto che anni di negligenza avevano seriamente compromesso le mie conoscenze astronomiche. Ma sto recuperando.
-    Stai lavorando a qualcosa di particolare?
-    In effetti sì. L’osservatorio astronomico mi ha commissionato dei calcoli sulla posizione di Rigel e Betelgeuse, le due stelle principali della costellazione di Orione. Non sanno perché, ma sembra che ci siano delle novità, nella loro posizione rispetto alla Terra.
-    Davvero? Non ne ho sentito parlare.
-    Beh, è una cosa ancora riservata. Anzi ti prego di mantenere il riserbo.
Era solo una frase di circostanza. Augusto sapeva di potersi fidare di Gioia come di nessun altro.
-    Dai, dimmi di più.
-    In poche parole, sembra che le due stelle si siano messe in una posizione talmente strana, che, secondo un particolare modello matematico, ancora in via di sviluppo, si trovano nei due vertici di un sistema triangolare, il cui terzo vertice... beh...
-    Beh? Dai, continua.
-    Sembra incredibile, ma il terzo vertice si trova sulla Terra, e precisamente... insomma, Gioia, è proprio una coincidenza che tu sia qui per studiare la parete a strapiombo del Monte Nero. Vedi, il terzo vertice, secondo un calcolo del nuovo computer Lin000uX dell’osservatorio... è formato, naturalmente solo in alcuni momenti della giornata, a causa della rotazione terrestre, proprio da quella parete.
-    Incredibile. Se non me lo dicessi tu non ci crederei.
Gioia era stupita, e affascinata allo stesso tempo.
-    Già, e tornerà ad essere il terzo vertice del sistema proprio tra cinque ore, alle 16 in punto di oggi.
Continuarono a parlare per un po’. Poi Gioia decise di incamminarsi. Doveva arrivare sulla cima, e questo non era un problema, dato che c’era una strada e poteva salire in macchina, e poi calarsi con la corda lungo la parete, prelevare dei campioni di roccia e studiarne la conformazione. Ci sarebbe voluta tutta la giornata.
Arrivò in cima al promontorio a mezzogiorno e mezza. Si rilassò, mangiò un pezzo del dolce che Augusto le aveva dato da portare via, bevve un tè freddo dal termos, e iniziò la discesa.
Si calò lungo la corda, fissata a ganci e chiodi, con la sicurezza che le veniva da anni di esperienza. In quei momenti si ricordava sempre delle scalate insieme ad Augusto e ad un’altra collega, Sandra, delle difficoltà superate, dei campioni di roccia studiati, organizzati e catalogati.
Arrivò a metà del costone alle tre passate. Aveva raccolto diverso materiale. Sarebbe bastato per uno studio iniziale.
Si preparò a risalire, ma un brillio di un raggio di sole su una roccia alla sua destra attrasse il suo sguardo. La luce si rifletteva sulla superficie dando l’impressione di venire dall’interno della roccia stessa.
Si spostò verso destra e raggiunse un’apertura abbastanza grande da entrare dentro. Fu solo questione di un attimo. Non ci pensò più di tanto. Entrò.
Seguì un canalone orizzontale di alcune decine di metri, aiutandosi con la torcia elettrica che portava sempre con sé. Arrivò davanti ad una strana apertura, i cui bordi erano di roccia levigata. Guardò meglio e notò degli strani simboli, troppo regolari e ripetitivi per essere naturali. All’inizio pensò a qualcuno che era arrivato fin lì e che aveva scolpito quei segni, ma si soffermò subito sulla strana roccia dell’apertura, di un tipo che non aveva mai visto.
Oltre l’apertura vi era il vuoto, o almeno così sembrava. Era talmente buio che nemmeno il fascio di luce della torcia riusciva a penetrarvi.
Gioia si mise a studiare la roccia, ma era troppo dura per prelevarne un campione. Cercò anche di decifrare i simboli incisi sui bordi dell’apertura; notò una certa ripetizione tra i tre gruppi, posti uno a destra, uno a sinistra, e uno in alto. Con la mente piena di ipotesi e supposizioni, ma più che altro di stupore, si ricordò che forse era ora di tornare indietro, se non voleva farsi una scalata al buio. Guardò l’orologio, erano quasi le quattro. Rimise lo zaino in spalla, e si preparò a lasciare lo strano luogo, che avrebbe continuato a studiare nei giorni seguenti, quando improvvisamente lo sfondo buio dell’apertura si illuminò. Ora vi era come una porta di uno strano colore argenteo, cangiante, come allo stato gassoso, o meglio liquido. Si avvicinò e la toccò. La sua mano oltrepassò lo strato argenteo, e il suo corpo venne risucchiato dentro.
Si ritrovò in un ambiente simile al canalone in cui era entrata, oltre una porta con la stessa roccia strana come bordo, e gli stessi strani simboli, anche se poté notare che la posizione dei gruppi era cambiata... ruotata. Ora in alto vi era il gruppo di simboli che dall’altra parte si trovava a sinistra.
Pensò di essere dalla parte opposta della porta, ma ora vi era, nell’apertura, uno sfondo buio e impenetrabile. Decise quindi di seguire il canalone, che presumeva portasse all’esterno, data la luce che si scorgeva in fondo.
Non si sbagliava. Usci all’aperto. La visione che ebbe la colpì come un colpo di maglio allo stomaco. Si trovava su una parete simile a quella lungo la quale era discesa poco prima, ma i colori delle rocce, dell’erba dei prati in fondo al burrone, del cielo, avevano tonalità mai viste prima. Guardò in alto, e rimase a bocca aperta. Vi era un grande sole arancione, e dalla parte opposta vi erano tre lune. In lontananza si scorgevano montagne immense, e una specie di uccello mai visto prima le volò innanzi.
Cominciò a capire.
Augusto le aveva parlato, in passato, durante una pausa tra una scalata ed un’altra, di dimensioni spazio-temporali e di curvature spaziali. Si ricordò poi della strana congiunzione triangolare di cui avevano discusso la mattina.
Non c’era altra spiegazione. La porta all’interno del Monte Nero l’aveva risucchiata a una distanza enorme, attraverso il tempo e lo spazio. Il colore arancione del sole le fece capire, dai racconti di Augusto, che si trovava su un pianeta del sistema di Betelgeuse.
Gioia era una ragazza in gamba, con un carattere ed una personalità forti. Qualità che avevano sempre suscitato ammirazione e affetto in Augusto.
Sapeva esattamente ciò che doveva fare. Trovare un’altra apertura, per poter tornare sulla Terra.


Cesare Bartoccioni
23 giugno 2000

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