Un pezzo da museo - western

Il racconto che segue è stato scelto dal regista Giuseppe Antonio Miglietta, insieme ad altri racconti western di altri quattro autori, tutti pubblicati sul sito www.farwest.it, per un lungometraggio.
Vedi anche la pagina "Film Western: Sfida a Crown Valley" nel menu a destra.

UN PEZZO DA MUSEO

Gli piaceva l’aria del mattino; fresca, pura, che faceva dimenticare, per un attimo, gli orrori del suo mestiere.
Era arrivato a Silver Fall la sera prima, quasi di nascosto, per evitare che la preda, avvisata troppo in anticipo, se ne scappasse via.
Quella mattina doveva agire il più rapidamente possibile. Era troppo famoso e la fama, per i tipi come lui, era come una canna di pistola perennemente puntata alla schiena.
Si chiamava Jack McKent, aveva cinquant’anni ed era un cacciatore di taglie.
Silver Fall era uno degli ultimi miracoli prodotti dalla brama di denaro. Nel 1879 un cacciatore di pellicce si imbatté in quella che sembrava essere la più ricca vena d’argento dell’ultimo decennio.
Nel 1881, nello stesso luogo, vi erano già quindicimila persone e una confusionaria metropoli a cui diedero l’accattivante nome che porta, “cascata d’argento”. Nell’estate del 1882 aveva fatto la sua comparsa a Silver Fall William Ray, la cui testa valeva duemila dollari, e nell’autunno dello stesso anno, in una calma, troppo calma e fredda sera, Jack McKent era arrivato.
Uscì dall’albergo quella mattina presto e si diresse lentamente verso l’ufficio dello sceriffo.
La polvere della Main Street gli portò alle narici l’odore della morte che aveva seminato, urla di uomini passati gli rimbombavano nelle orecchie. Era sempre così, ogni volta che attraversava una strada, sempre le stesse sensazioni. E gli piaceva.
Guadagnava molto con il suo lavoro, ma non lo faceva solo per i soldi. Per lui era una specie di vocazione. Gli piaceva.
Bussò alla porta dell’ufficio dello sceriffo, ed una voce familiare gli rispose dall’interno. Entrò.
“Desidera?”
Lo sceriffo stava leggendo un giornale e non alzò nemmeno gli occhi per vedere chi fosse entrato.
Jack lo riconobbe subito.
“È così che si accolgono gli amici, Mick?”
Lo sceriffo alzò la testa.
“Jack! Che sorpresa... siediti. Vuoi bere qualcosa?”
“No, grazie. Sono in servizio.”
“Già... beh, tu sei sempre in servizio. Di chi si tratta?”
“Si chiama William Ray. Mi hanno detto che si trova qui.”
“Sì... bazzica il “Silver Moon” Saloon, di solito. Ma stacci attento, è in compagnia.”
“Quanti?”
“Quattro balordi come lui. Ci sono avvisi di taglia anche per loro.”
“E tu?”
Il volto dello sceriffo si rabbuiò.
“So che vuoi dire, Jack. Ma per quattro luridi dollari non sono disposto a giocarmi la pelle. Amo la vita tranquilla, io, e quelli sono dei tizi che non mi lascerebbero nemmeno il tempo di dichiararli in arresto. Mi sono trovato un posto niente male, qui: sessanta dollari al mese più la pensione una volta finito, e non voglio rovinare tutto.”
“Questo significa che non mi darai una mano? Neanche per coprirmi le spalle?”
“Mi dispiace, Jack.”
Jack era contento così. Non l’avrebbe mai detto a nessuno, ma uccidere quattro o cinque persone da solo lo faceva star bene.
“Beh, dammi gli avvisi degli altri, così li riconosco, e poi lascia fare a me.”
“Con vero piacere, Jack. Ah... ti consiglio di stare attento anche al barista. Ha una doppietta sotto il bancone e sembra che faccia affari con Ray.”
“Grazie del consiglio, Mick. Ho giusto sei colpi qui dentro.”
Jack indicò la pistola che teneva al fianco: una Colt “Navy” risalente a prima della guerra civile, la sua compagna da oltre trent’anni.
“Io non ci andrei con quel pezzo da museo, Jack.”
“Tu non ci andresti nemmeno con uno squadrone di cavalleria, Mick, e poi questa mi ha servito benissimo decine di volte.”
“Già... beh, buona fortuna, Jack.”
Jack uscì dall’ufficio dello sceriffo e s’incamminò lentamente verso il “Silver Moon” Saloon.
Li avrebbe affrontati come faceva sempre. Si sarebbe messo davanti al loro tavolo, dove sicuramente li avrebbe trovati a trangugiare del pessimo whiskey, e avrebbe intimato loro di arrendersi e seguirlo. Poi sarebbe iniziata la sparatoria, meravigliosa come sempre; cinque colpi per loro, il sesto per il barista, ricarica della Colt prima che la gente lì dentro si fosse riavuta dalla sorpresa, incasso della taglia dallo sceriffo. Semplice. Piacevole.
Entrò nel Saloon. Attraverso la cortina di fumo di tabacco individuò quasi subito i cinque. Erano seduti ad un tavolo davanti al bancone. Stavano giocando a Poker.
Jack si avviò deciso verso di loro, pregustando il sangue, un bagno di sangue, una meravigliosa visione di morte.
Si mise di fronte a loro, con il bancone dove il barman stava servendo da bere sulla sua destra, e pronunciò le parole magiche:
“Siete in arresto, seguitemi senza fare storie.”
La pistola di Jack era ancora nella fondina; non estraeva mai senza sparare.
Non c’era bisogno d’altro: i cinque lo conoscevano di fama.
William Ray fece per estrarre. Un attimo dopo era morto, la testa trapassata da un proiettile calibro 36.
Due degli altri quattro estrassero a loro volta. Uno venne colpito in pieno petto e cadde; l’altro, con una palla in fronte, sbatté contro il bancone.
Uno degli altri due rimanenti alzò le mani, l’altro se la diede a gambe. Jack li freddò entrambi.
Era rimasto un solo colpo. Il barista, ora.
Jack lo vide mentre tirava fuori la doppietta da sotto il bancone. Non avrebbe mai fatto in tempo, era come morto.
Jack puntò la sua Colt “Navy” verso il petto del barman e premette il grilletto. Il colpo non partì.
Era inceppata. Come l’aveva chiamata Mick? ‘Quel pezzo da museo’ aveva detto; già, proprio così aveva detto.
Jack fece in tempo a vedere le fiamme sulla bocca della doppietta, ma non sentì alcuno sparo: non poteva più sentirlo.

Cesare Bartoccioni
22 novembre 1991

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